• LE HORLA – Racconto di Guy de Maupassant – (seconda parte)

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    Seconda  parte

    Leggi qui la prima parte

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    Dal Diario – 6 agosto

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    Questa volta non sono pazzo. L’ho visto… l’ho visto… l’ho visto!… Non posso più dubitarne… l’ho visto!… ho ancora i brividi fino alle unghie… ho ancora paura fino nel midollo… l’ho visto!…Passeggiavo alle due in pieno sole nel roseto… nei viali dei roseti d’autunno che cominciano a fiorire. Appena mi sono fermato a guardare un “gigante delle battaglie”, che aveva tre fiori magnifici, ho visto, ho visto distintamente, proprio accanto a me, piegarsi il gambo di una di queste rose, come se una mano invisibile l’avesse torto, poi l’ho visto rompersi, come se quella mano l’avesse colto! Poi il fiore si è sollevato, seguendo una curva che avrebbe descritto un braccio portandola alla bocca ed è rimasta sospesa nell’aria trasparente, da sola, immobile, macchia rossa spaventosa a tre passi dai miei occhi.

    Sconvolto, mi sono gettato su di lei per afferrarla! Non ho trovato niente, era sparita. Allora sono stato preso da una collera furiosa contro me stesso, poiché non è permesso ad un uomo ragionevole e serio avere simili allucinazioni. Ma era veramente un’allucinazione? Sono ritornato per cercare il gambo e l’ho trovato immediatamente sull’arbusto, tagliato di fresco tra le due altre rose rimaste sul cespuglio. Allora sono rientrato a casa con l’animo sconvolto, poiché sono certo adesso, certo come dell’alternanza dei giorni e delle notti, che esiste accanto a me un essere invisibile che si nutre di latte ed acqua, che può toccare le cose, può prenderle e cambiar loro di posto, dotato quindi di una natura materiale, assolutamente impercettibile ai nostri sensi, e che abita come me sotto il mio tetto…

     

     

     

    7 agosto

     

    Ho dormito tranquillo. Lui ha bevuto l’acqua dalla mia caraffa, ma non ha assolutamente turbato il mio sonno. Mi chiedo se sono diventato pazzo. Passeggiando sia sotto il sole cocente, sia lungo il fiume, mi sono venuti dei dubbi sulla mia ragione, non dei dubbi vaghi come li avevo avuti finora, bensì dei dubbi precisi, assoluti. Ho visto dei folli; ne ho conosciuto alcuni che restavano intelligenti, ludici, sagaci anche su tutte le cose della vita, tranne che per un punto. Parlavano di tutto con chiarezza, con duttilità, con profondità e all’improvviso il loro pensiero, toccando lo scoglio della loro follia, visi riduceva in mille pezzi, che si sparpagliavano e sprofondavano in quell’oceano spaventoso e furioso, pieno di onde saltellanti, di nebbie, di burrasche che si chiama “demenza”. Certo, mi crederei folle, completamente folle, se non fossi cosciente, se non conoscessi perfettamente il mio stato, se non lo sondassi analizzandolo con completa lucidità. Alla fine, quindi, non sarei altro che un allucinato capace di ragionare. Un turbamento sconosciuto sarebbe capitato al mio cervello, uno di quei disturbi che i fisiologi cercano oggigiorno di annotare e di precisare, e questo disturbo avrebbe determinato nel mio animo, nell’ordine e nella logica delle mie idee, un crepaccio profondo. Dei fenomeni simili si verificano nei sogni che ci conducono attraverso le fantasmagorie più inverosimili, senza che ne siamo sorpresi perché l’apparato verificatore, il senso del controllo, è addormentato, mentre la facoltà immaginativa veglia e lavora. Non potrebbe essere che un impercettibile tasto del pianoforte cerebrale in me è paralizzato? Alcuni uomini, dopo degli incidenti, perdono la memoria dei nomi propri o dei verbi o delle cifre o soltanto delle date. Le localizzazioni di tutti i frammenti del pensiero sono oggi provati. Ora, che ci sarebbe di sorprendente che la mia facoltà di controllare l’irrealtà di alcune allucinazioni si trovi intorpidita in questo momento?

     

    Pensavo a tutto questo mentre seguivo il corso d’acqua. Il sole copriva di luce il fiume, rendeva la terra deliziosa, riempiva il mio sguardo d’amore per la vita, per le rondini, la cui agilità è una gioia per i miei occhi, per le erbe della riva, il cui fremito è felicità per le miei orecchie. Poco a poco, tuttavia, un malessere inspiegabile mi ha avvolto. Mi è sembrato che una forza occultami intorpidisse, mi fermasse, mi impedisse di andare più lontano, mi richiamasse indietro. Ho provato quel bisogno doloroso di rientrare che ci opprime quando si è lasciato a casa una persona ammalata che si ama e di cui si presagisce un aggravamento della malattia. Quindi, sono tornato malgrado me stesso, sicuro di trovare, a casa, una cattiva notizia, una lettera o un dispaccio. Non c’era nulla e sono rimasto più sorpreso e più inquieto che se avessi avuto di nuovo qualche visione fantastica.

     

     

    8 agosto

     

    Ho passato ieri una serata terrificante. Non si manifesta più, ma io lo sento accanto a me, che mi spia, mi guarda, mi penetra, mi domina ed è più temibile adesso, che si nasconde così, che se mi facesse scorgere, tramite fenomeni soprannaturali, la sua presenza invisibile e costante. Eppure nonostante tutto ho dormito.

     

    9 agosto

     

    Niente, ma ho paura.10 agosto Niente; cosa succederà domani?

     

    11 agosto

     

    Ancora niente; non posso più restare a casa con questa paura e questo pensiero che mi sono entrati nell’anima. Partirò.

     

    12 agosto, 10 di sera

     

    Tutto il giorno ho provato ad andarmene, ma non ci sono riuscito. Ho voluto compiere questo atto di libertà così facile, uscire, salire in carrozza per andare a Rouen, ma non ci sono riuscito. Perché?

     

    13 agosto

     

    Quando si è preda di alcune malattie, tutte le risorse dell’essere fisico sembrano essere spezzate, tutte le energie annientate, tutti i muscoli rilassati, le ossa divenute molli come la carne e la carne liquida come l’acqua. Avverto tutto ciò nel mio essere morale in un modo strano e desolante. Non ho più forze, né coraggio, né dominio su me stesso, né alcun potere di mettere in moto la mia volontà. Non riesco più a esprimere il mio volere; qualcun altro lo esercita per me ed io obbedisco.

     

    14 agosto

     

    Sono perduto! Qualcuno possiede la mia anima e la governa! Qualcuno ordina tutte le mie azioni, i movimenti, i pensieri. Non sono più niente, nient’altro che uno spettatore schiavo e terrorizzato di qualsiasi cosa che compio. Desidero uscire, ma non posso. Egli non vuole, ed io rimango, perduto, tremante, in poltrona, dove mi tiene seduto. Desidero soltanto alzarmi, per credermi ancora padrone di me stesso. Non posso! Sono inchiodato alla mia sedia e la mia sedia aderisce al suolo in una maniera tale che nessuna forza potrebbe mai sollevarla. Poi, tutt’ad un tratto, c’è il bisogno assoluto che vada in fondo al giardino a cogliere delle fragole e a mangiarle. Ed io ci vado, colgo le fragole e le mangio. Oh, mio Dio! Mio Dio! Mio Dio! È un Dio? Se lo è, liberatemi, salvatemi! Venite in mio soccorso! Perdono! Pietà! Grazia! Salvatemi! Che sofferenza, che tortura, che orrore!!

     

     

     

    15 agosto

     

    Certo, ecco come era posseduta e dominata la mia povera cugina quando è venuta a chiedermi in prestito 5000 franchi. Ella subiva una volontà straniera entrata in lei, come un’altra anima, un’altra anima parassita e dominatrice. Il mondo sta per finire? Ma colui che mi governa, cos’è? Cos’è questo essere invisibile? Cos’è questo essere sconosciuto, vagabondo di una razza soprannaturale? Quindi gli esseri soprannaturali esistono! E allora come mai dall’origine del mondo non si sono ancora manifestati in maniera precisa come fanno con me? Non ho mai letto nulla che somigli a ciò che sta succedendo a casa mia. Ah, se potessi lasciarla, se potessi andarmene, fuggire e non tornare più. Sarei salvo, ma non ci riesco.

     

    16 agosto

     

    Sono riuscito a scappare oggi per due ore, come un prigioniero che trova aperta, per caso, la porta della sua cella. Ho sentito che ero libero tutt’ad un tratto e che lui era lontano. Ho ordinato di preparare i cavalli rapidamente e sono partito alla volta di Rouen. Che gioia poter dire ad un uomo che obbedisce: “Andiamo a Rouen!” Mi sono fatto fermare davanti alla biblioteca e ho pregato che mi prestassero il grande trattato del dottor Hermann Herestauss sugli abitanti sconosciuti del mondo antico e moderno.

    Poi, al momento di risalire nella carrozza, volevo dire: “Alla stazione!” ed ho gridato (non detto, gridato), con una voce così forte che i passanti si sono girati: “A casa”. Quindi sono caduto, sconvolto dall’angoscia, sul cuscino della vettura. L’essere mi aveva ritrovato e ripreso.

     

    17 agosto

     

    Che notte! Che notte! Eppure mi sembra che invece dovrei esserne contento! Fino all’una del mattino ho letto. Hermann Herestauss, dottore in filosofia e teogonia, ha scritto la storia e le manifestazioni di tutti gli esseri invisibili che vagano nel mondo o sognati da lui. Ha descritto le loro origini, il loro dominio, la loro potenza. Ma nessuno di essi somiglia a quello che mio ossessiona. Si direbbe che l’uomo, da quando è in grado di pensare, ha presentito e dubitato l’esistenza di un essere nuovo, più forte di lui, il suo successore in questo mondo, e che, sentendolo vicino e non potendo prevedere la natura di questo padrone, ha creato, nel suo terrore, tutto il popolo fantastico degli essere occulti, fantasmi indefiniti nati dalla paura. Quindi, avendo letto fino all’una del mattino, sono andato a sedermi accanto alla finestra aperta per rinfrescare la fronte ed il pensiero al vento tranquillo dell’oscurità. Era bel tempo, una temperatura tiepida. Quanto avrei amato quella notte in altri tempi! Non c’era luna. Le stelle avevano sul fondo del cielo nero degli scintillii frementi. Chi abita quei mondi? Quali forme, quali esseri viventi, quali animali, quali piante si trovano laggiù? Coloro che pensano negli universi lontani, cosa sanno più di noi? Cosa possono fare più di noi? Cosa vedono che noi non conosciamo affatto? Uno di essi, un giorno o l’altro, attraversando lo spazio, non apparirà sulla nostra terra per conquistarla, come i Normanni un tempo attraversavano il mare per assoggettare popoli più deboli? Noi siamo così infermi, deboli, ignoranti, piccoli, su questo granello di fango che gira disciolto in una goccia d’acqua. Mi sono addormentato così, sognando al vento fresco della sera. Ora, dopo aver dormito circa quaranta minuti, ho riaperto gli occhi senza fare alcun movimento, risvegliato da una certa emozione confusa e bizzarra. All’inizio non ho visto niente, poi, tutt’ad un tratto mi è sembrato che una pagina del libro rimasto aperto sul mio tavolo si fosse appena girata da sola. Nessun soffio d’aria era entrato dalla finestra. Sono rimasto sorpreso ed ho aspettato. Nel giro di quattro minuti circa ho visto, sì, ho visto con i miei occhi un’altra pagina sollevarsi ed abbattersi sulla precedente, come se un dito l’avesse sfogliata. La mia poltrona era vuota, sembrava vuota; ma ho capito che lui era là, seduto al mio posto, che leggeva. Con un balzo furioso, il balzo di una bestia ribelle, che vuole sventrare il suo domatore, ho attraversato tutta la stanza per afferrarlo, per stringerlo, per ucciderlo… ma la poltrona, prima che la raggiungessi, si è ribaltata come se lui fosse fuggito davanti a me… la tavola ha oscillato, la lampada è caduta e si è spenta e la finestra si è chiusa come se un delinquente sorpreso si fosse lanciato nella notte, chiudendo dietro di sé a mani aperte i battenti. Quindi, si è salvato; aveva paura, paura dei me… lui! Allora… allora… domani o dopodomani… o un giorno qualunque potrò tenerlo sotto i miei pugni sul pavimento! Non capita, infatti, che i cani qualche volta mordano o strangolino i loro padroni?

     

    18 agosto

     

    Ci ho pensato tutto il giorno. Oh, gli obbedirò, seguirò i suoi impulsi, compirò tutte le sue volontà, mi umilierò, vile sottomesso. È più forte. Ma il momento verrà…

     

    19 agosto

     

    Lo so, lo so… so tutto! L’ho appena letto nella “Rivista del Mondo Scientifico”: “Una notizia piuttosto curiosa ci arriva da Rio de Janeiro. Una follia, un’epidemia di follia, paragonabile alle demenze contagiose che colpirono i popoli europei durante il Medioevo, imperversa in questo momento nella provincia di San Paolo. Gli abitanti sconvolti lasciano le loro case, si allontanano dai loro villaggi, abbandonano le loro culture e si dicono inseguiti, posseduti, governati come del bestiame umano da esseri invisibili ma tangibili, una sorta di vampiri che si nutrono della loro vita durante il sonno e che bevono inoltre acqua e latte senza toccare alcun altro alimento. Il Professor Don Pedro Henriquez, accompagnato da diversi medici scienziati, è partito per la provincia di San Paolo per studiare sul posto le origini e le manifestazioni di questa sorprendente follia e per proporre all’Imperatore le misure che gli sembreranno più consone a richiamare alla ragione quelle popolazioni in delirio.” Ah, ora mi ricordo… mi ricordo il bel tre-alberi brasiliano che passò sotto le mie finestre risalendola Senna l’8 maggio scorso! Lo trovavo così bello, così bianco, così allegro! L’Essere era su quel battello, proveniente da laggiù dove la sua razza è nata. E mi ha visto! Ha visto la mia casa anch’essa bianca ed è saltato dal battello sulla riva. Oh, mio Dio! Ora so, indovino. Il regno dell’uomo è finito. È venuto, Colui che i primi terrori dei popoli semplici temevano, Colui che i preti inquieti esorcizzavano, che gli stregoni evocavano nelle notti scure, senza vederlo ancora apparire, Colui al quale i presentimenti dei maestri passeggeri del mondo prestarono tutte le forme mostruose o graziose di gnomi, spiriti, geni, fate, folletti.  Dopo i concetti grossolani dello spavento primitivo, uomini più perspicaci l’hanno presentito chiaramente. Mesmer l’aveva indovinato ed i medici, già da dieci anni, hanno scoperto, in maniera precisa, la natura della sua potenza prima che l’avesse esercitata egli stesso. Hanno giocato con quest’arma del nuovo Signore, il dominio di una misteriosa volontà sull’anima umana divenuta schiava. Lo hanno chiamato magnetismo, ipnotismo, suggestione… che ne so? Li ho visti divertirsi come dei bambini imprudenti con quella terribile potenza. Accidenti a noi! Accidenti all’uomo! È arrivato, il… il… come si chiama… il… mi sembra che mi gridi il suo nome ma io non sento… il… si… lo grida… Ascolto… non riesco… ripete … Horla… ho sentito… l’Horla… è lui… l’Horla… è venuto! Ah, l’avvoltoio ha mangiato la colomba, il lupo ha mangiato il montone, il leone ha divorato il bufalo dalle corna appuntite; l’uomo ha ucciso il leone con la freccia, con la spada, con la polvere, ma l’Horla farà dell’uomo ciò che noi abbiamo fatto del cavallo e del bue: una sua proprietà, il suo servitore ed il suo cibo, attraverso la sola potenza della sua volontà. Accidenti a noi! Eppure, talvolta l’animale si rivolta ed uccide chi l’ha domato… anch’io voglio… potrò… ma bisognerebbe conoscerlo, toccarlo, vederlo! Gli scienziati dicono che l’occhio degli animali, è diverso dal nostro, non distingue come l’occhio umano… ed il mio occhio non riesce a distinguere il nuovo venuto che mi opprime. Perché? Oh, mi ricordo adesso le parole del monaco di Monte Saint-Michel: “Vediamo per caso la centomillesima parte di ciò che esiste? Ad esempio, prendete il vento, la più grande forza della natura, che rovescia gli uomini, abbatte gli edifici, sradica gli alberi, solleva il mare in montagne d’acqua, distrugge le falesie e getta contro gli scogli le grandi navi, il vento che uccide, che soffia, che geme, che muggisce, l’avete visto e potete vederlo? Eppure esiste”. E pensavo ancora: i miei occhi sono così deboli, così imperfetti, che non distinguono nemmeno i corpi solidi trasparenti come il vetro!… Se del ghiaccio senza macchie sbarra il mio cammino, ci vado contro come l’uccello entrato in una stanza si rompe la testa contro i vetri. Mille cose ancora li ingannano e li smarriscono? Cosa c’è allora di così sconvolgente nel fatto che non sappia percepire un corpo nuovo che la luce attraversa? Un essere nuovo! Perché no? Doveva sicuramente arrivare! Perché dovremmo essere gli ultimi? Noi non lo distinguiamo così come tutti quelli che sono stati creati prima di noi? Il fatto è che la sua natura è più perfetta, il suo corpo più fine e più completo del nostro, e che il nostro corpo è invece così debole, così maldestramente concepito, ingombro di organi sempre affaticati, sempre costretti come delle molle troppo complesse. Vive come una pianta e come un’animale, nutrendosi penosamente d’aria, di erba e di carne, macchina animale preda delle malattie, delle deformazioni, delle putrefazioni, pesante, mal regolato, ingenuo e bizzarro, ingegnosamente fatto male, opera grossolana e delicata, abbozzo di essere che potrebbe divenire intelligente e magnifico. Noi siamo poca cosa, così poco in questo mondo, dall’ostrica all’uomo. Perché non uno in più, una volta completato il periodo che separa le apparizioni successive di tutte le specie diverse?

     

    Perché non uno in più? Perché non altri alberi dai fiori immensi, eclatanti e profumati di intere regioni? Perché non altri elementi diversi da fuoco, aria, terra e acqua? Sono quattro, solo quattro, questi padri che nutrono gli esseri! Che peccato! Perché non sono invece quaranta, quattrocento, quattromila! Quanto è povero, meschino, miserabile tutto questo! Avaramente donato, bruscamente inventato, pesantemente creato! Ah, l’elefante, l’ippopotamo, che grazia! Il cammello, che eleganza! E cosa direste della farfalla? Un fiore che vola. Ne sogno una grande quanto cento universi, con delle ali di cui non riesco neanche ad esprimere la forma, la bellezza, il colore ed il movimento. Mala vedo… va di stella in stella rinfrescandole e profumandole nel soffio armonioso e leggero della sua corsa!… Ed i popoli di lassù la guardano passare, estasiati e rapiti! Che ho quindi? È lui, l’Horla, che mi ossessiona, che mi fa pensare a queste follie! Egli è in me, diventa la mia anima; lo ucciderò!

     

    19 agosto

     

    Lo ucciderò! L’ho visto! Mi sono seduto ieri sera a tavola e ho fatto finta di scrivere con grande attenzione. Sapevo bene che sarebbe venuto a gironzolare attorno a me, molto da vicino, così vicino che avrei potuto toccarlo, afferrarlo? E allora… allora avrei avuto la forza dei disperati; avrei avutole mani, le ginocchia, il petto, la fronte, i denti per strangolarlo, schiacciarlo, morderlo, farlo a pezzi. E lo spiavo con tutti gli organi sovreccitati. Avevo acceso le due lampade e le otto bugie del camino, come se avessi potuto, in quella luce, scoprirlo. Davanti a me, il mio letto, un vecchio letto di quercia a colonne, a destra il camino, a sinistra la porta chiusa con cura, dopo averla lasciata aperta per tanto tempo, apposta per attirarlo, dietro dime, un armadio a specchi molto alto, che mi serviva ogni giorno per radermi, per vestirmi e dove ero solito rimirarmi dalla testa ai piedi, ogni volta che ci passavo davanti. Quindi, facevo finta di scrivere per ingannarlo, poiché anch’egli mi spiava, ed all’improvviso l’ho sentito, ero sicuro che leggesse al di sopra della mia spalla, che era là, che mi sfiorava l’orecchio. Mi sono alzato, con le mani tese, e mi sono girato così velocemente che ho rischiato di cadere. Ebbene… ci si vedeva come in pieno giorno ed io non mi sono visto allo specchio! Era vuoto, chiaro, profondo, pieno di luce! La mia immagine non c’era dentro eppure io vi ero davanti! Vedevo il grande vetro limpido dall’alto in basso e lo guardavo con occhi sconvolti e non osavo più andare avanti, fare un movimento, avvertendo bene che lui era là, ma mi sarebbe scappato ancora, lui, il cui corpo impercettibile aveva divorato il mio riflesso.

     

     

     

    Quanta paura ho avuto! Poi ecco che tutt’ad un tratto ho cominciato a scorgermi in una nebbia, infondo allo specchio, una nebbia come attraverso uno strato d’acqua. E mi sembrava che quell’acqua scivolasse da sinistra a destra, lentamente, rendendo la mia immagine più precisa ad ogni secondo che passava. Era come la fine di un’eclissi. Colui che mi nascondeva non sembrava avere dei contorni netti, ma una sorta di trasparenza opaca che si rischiarava poco a poco. Alla fine sono riuscito a distinguere me stesso completamente, come faccio ogni giorno specchiandomi. L’avevo visto! Lo spavento mi è rimasto e mi fa ancora rabbrividire.

     

    20 agosto

     

    Ucciderlo… come? Visto che non riesco ad acchiapparlo… il veleno? Mi vedrebbe mescolarlo all’acqua; e inoltre, i nostri veleni avrebbero effetto sul suo corpo impercettibile? No, no, senza dubbio. Allora? Allora?

     

    21 agosto

     

    Ho fatto venire un fabbro ferraio da Rouen e gli ho commissionato per la mia stanza delle persiane di ferro, come le hanno a Parigi alcuni hotel particolari, al piano terra, per paura dei ladri. Mi farà anche una porta uguale. Mi avrà creduto un vigliacco, ma non mi importa!

     

    10 settembreRouen, Hotel Continental.

     

     

    È fatta… è fatta… ma è morto? Ho l’anima sconvolta da ciò che ho visto. Ieri, dopo che il fabbro ferraio aveva sistemato le persiane e la porta di ferro, ho lasciato tutto aperto fino a mezzanotte, quando ha cominciato a fare freddo. Tutt’ad un tratto, ho sentito che lui era là, e mi ha preso una gioia, una gioia folle. Mi sono alzato lentamente e mi sono incamminato verso destra, poi verso sinistra per parecchio tempo in modo che lui non indovinasse niente. Poi mi sono tolto gli stivaletti ed ho calzato le ciabatte con una certa negligenza. In seguito ho chiuso la persiana di ferro e, ritornando a passo tranquillo verso la porta, ho chiuso anche quella a doppia mandata. Ritornando verso la finestra, l’ho fissata con un catenaccio, la cui chiave ho infilato in tasca. All’improvviso, ho capito che lui si agitava intorno a me, che aveva paura anche lui, che mi ordinava di aprirgli. Stavo per cedere, ma non l’ho fatto e addossandomi alla porta l’ho socchiusa, appena appena per riuscire a passare io stesso all’indietro e, poiché sono molto alto, la mia testa toccava l’architrave. Ero sicuro che non avrebbe potuto scappare, così l’ho rinchiuso da solo. Che gioia! L’avevo in trappola! Allora, sono sceso correndo ed ho preso, nel salone sotto la mia stanza, le due lampade ed ho rovesciato tutto l’olio sul tappeto, sui mobili, dovunque. Poi ho appiccato il fuoco e mi sono salvato, dopo aver ben chiuso a doppia mandata la porta d’entrata. Mi sono andato a nascondere in fondo al giardino, in un’aiuola di alloro. Quanto tempo! Quanto tempo c’è voluto! Era tutto nero, muto, immobile; non un soffio d’aria, non una stella, montagne di nuvole che non si vedevano ma che pesavano sulla mia anima così tanto…Ho guardato la mia casa ed ho aspettato. Quanto tempo! Credevo già che il fuoco si fosse spento da solo, o che lui l’avesse spento, quando una finestra in basso si è schiantata sotto la spinta dell’incendio ed una fiamma, una grande fiamma rossa e gialla, languida, carezzevole, è salita lungo il muro bianco ed è arrivata fino al tetto. Un chiarore si è visto tra gli alberi, tra i rami, tra le foglie ed un fremito, anche un fremito di paura. Gli uccelli si sono risvegliati, un cane si è messo ad abbaiare;  mi è sembrato che il giorno di levasse. Altre due finestre si sono schiantate ed ho visto che tutta la parte bassa della mia casa non era altro che uno spaventoso braciere.

     

     

     

    Ma un grido, un grido orribile, acuto, lacerante, un grido di donna è passato nella notte e due mansarde si sono aperte! Avevo dimenticato i miei domestici! Ho visto le loro facce terrorizzate e le braccia che si agitavano! Allora, perduto per l’orrore, mi sono messo a correre verso il villaggio urlando: “Aiuto! Aiuto! Al fuoco, al fuoco!” Ho incontrato gente che arrivava già e sono tornato con loro per vedere. La casa adesso non era altro che un rogo orribile e magnifico, un rogo mostruoso, che rischiarava tutta la terra, un rogo in cui bruciavano degli uomini e dove bruciava anche lui, il mio prigioniero, l’essere nuovo, il nuovo padrone, l’Horla! All’improvviso tutto il tetto è sprofondato tra le mura ed un vulcano di fiamme si è innalzato fino al cielo. Da tutte le finestre aperte sulla fornace vedevo la parte centrale dell’incendio e pensavo che lui era là, in quel forno, morto…Morto? Forse… Il suo corpo… Il suo corpo che il giorno attraversava poteva essere distrutto dai mezzi che uccidono i nostri corpi? E se non era morto?… solo il tempo forse ha effetto sull’Essere Invisibile e Temibile. Perché allora quel corpo trasparente, quel corpo sconosciuto, quel corpo di Spirito se anche lui doveva temere il male, le ferite, le infermità, la distruzione prematura? La distruzione prematura? Tutto il terrore umano viene da lì. Dopo l’uomo, l’Horla. Dopo colui che può morire tutti i giorni, a tutte le ore, a tutti i minuti, con qualsiasi incidente, è venuto colui che deve morire soltanto nel suo giorno, alla sua ora, in quel minuto perché ha toccato il limite della sua esistenza! No, no… senza dubbio, senza dubbio… non è morto. Allora… allora… bisogna che mi uccida io! …

     

    F i n e

     

    Leggi qui la prima parte

    • Sono giunto sin qui ed ora con delle “armi”, cioè, avevo ed ho, in mente le immagini del film “Il posto delle fragole” di Ingmar Bergman. Non so che cosa c’entra, ma stavo cercando e, non so se “esiste” veramente, una recensione o approfondimento dello studioso (chiedo perdono se non so usare una parola diversa dalla dizione “studioso”… così) Luigi Scialanca. Pertanto, un passaggio come fosse “un volo”, dalle immagini di Ingmar Bergman all’immagine dell’Horla. Le immagini del film “Il posto delle fragole”, alcune immagini, per la precisone, mi hanno dato la sensazione di quando, una volta, in un cimitero mi sono sentito “attrarre” da un vuoto o un vortice, che sotto i miei piedi indicava un piccolo foro all’orlo (Horla!?) di una tomba, cioè, sentivo sprofondare in quel punto i sassolini ed il terriccio sotto i miei piedi… così, ma ho avuto come un fremito e mi sono reso conto che non era giunto ancora di lasciarmi andare a questa “sensazione” o “non sensazione”. Mi fermo qui, ma andrei avanti, con altre immagini o pensieri che mi frullano nella testa e che in qualche modo mi allontanano da quella “vertigine” che provo se guardo verso “il basso” da quest’altezza, ossia, “un quarto piano” che mi dà anche la sensazione opposta, cioè, “sfiorare o toccare il cielo con la mano”. Profondamente riconoscente a coloro che lavorano “attivamente” per rendere questo sito uno spazio aperto non solo ai pensieri ed alle immagini della “veglia”, ma anche e fondamentalmente ai pensieri ed alle immagini della “notte”: “I giorni e le notti”.

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