• 13 novembre -Parigi «Non voglio sapere di quale nazionalità fossero i terroristi, parlatemi di loro, dei loro pensieri, dei loro cattivi maestri …» Lettera

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    in  nome di cosaIn nome di cosa?

    a cura di Gian Carlo Zanon

    Stavo parlando con alcune amiche e amici, al telefono e su face book, sul modo assurdo in cui la notizia dell’orrenda strage di Parigi viene narrata mediaticamente. Quando mi è giunto un commento all’articolo di Giorgia R. che, col suo benestare, abbiamo deciso di pubblicare per intero. La sua domanda era nell’aria: avevo appena risposto sul social a Lucilla dicendole che in fondo dentro questa storia non ci sono arabi, ebrei, americani, francesi ma, fondamentalmente, ci sono due categorie di persone: quelle che vedono il rapporto interumano unicamente come conflitto mortale e sopraffazione dell’altro da sé e chi invece continua a cercare, nonostante questi violenti squilibrati, il rapporto profondo con l’eguale diverso da sé.

     

    15 novembre 2014

    Caro Gian Carlo Zanon, mi è piaciuto molto questo articolo. (leggi qui N.d.R.)
    Quando si uccide uno sconosciuto non c’è più neppure un movente passionale. Scusate la parola “passionale” ma non ne trovo altre. E allora perché lo si fa? Qual è la molla primaria del loro agire? Si, d’accordo, questi credono di andare in paradiso con non so quante vergini, ma non può essere questa la sola risposta.
    Tu scrivi nell’articolo che il sangue versato, il dolore e l’orrore «non hanno nazionalità, non hanno religione». Come non essere d’accordo. Solo una bestia, intesa come un essere umano che ha perduto completamente la propria umanità, può credere che un individuo è un feroce assassino solo per il fatto di appartenere a una determinata religione. Eppure c’è chi pubblica titoli come questi: “BASTARDI ISLAMICI”. Una vera pazzia.

     

    libero parig

    Io invece voglio, non vorrei, voglio, voglio sapere perché un ragazzo di vent’anni decide di uccidere dei suoi coetanei che non conosce neppure. Non voglio sapere di che nazionalità fossero i terroristi. Cristo parlatemi di loro, dei loro pensieri, della loro disperazione, dei loro cattivi maestri, delle donne da cui sono nati, dei loro rapporti con le donne … voglio conoscere il loro privato, il loro pensiero, voglio che qualcuno dia un nome alla loro pazzia e alla pazzia di chi li ha convinti a fare ciò che hanno fatto. Voglio sapere.

    Scusate la rabbia, Giorgia R.

    *   *   *

    Giorgia leggere questa tua lettera è un tornare all’umano, a se stessi. Ti dico ciò che penso: gli atti terroristici di Parigi sicuramente si sono svolti a due livelli: ci sono delle persone malate di mente, quelli che compiono materialmente queste atrocità, e c’è chi utilizza questi ultimi armandoli e veicolando militarmente le loro azioni.
    Si inizia con l’odio verso il genere umano, indifferenziato e caotico, nato all’interno dei rapporti primari e che annulla la realtà umana del “nemico”, e si finisce con un’azione di distruzione di esseri umani “non più umani”.


    Nessuna persona sana di mente ucciderebbe decine di persone e si suiciderebbe facendosi saltare in aria.
    Io sono convinto che la matrice di questi attentati, come quello di Breivik ad Utiya e quello di Boston ad opera dei due fratelli Carnaev, si debba cercare nella loro malattia mentale. Malattia mentale che per esprimersi ha bisogno di elemento di realtà e di una buona dose di percezione delirante che si traduce così: io non odio tutto il genere umano, odio solo gli appartenenti alla tal religione, al tal ceppo etnico, alla tal nazione. Odio loro e tutti coloro che non li odiano e che con essi convivono pacificamente.


    L’anaffettività di questi individui ha bisogno di una legittimazione che renda congruo il loro agire. Il loro odio ha bisogno di un bersaglio. Basta una religione oltranzista e/o un’ideologia estremistica che renda “logico” il loro agire, ed essi veicoleranno il loro malessere psichico in quella direzione. Gli esseri umani che si troveranno in mezzo alla strada che porta alla realizzazione del loro delirio, verranno percepiti unicamente come oggetti senza alcun valore umano. Birilli da far cadere o poco più.

    La realizzazione di questo malessere è a vari livelli di violenza. A tutti sarà capitato un energumeno che ti attacca fisicamente e ti ucciderebbe, se solo potesse, per mere questioni di viabilità. Metti un’ideologia o un fanatismo religioso e una legittimazione politica in queste menti vuote e loro avranno un bersaglio da colpire. La violenta anaffettività è la stessa, la forma del delirio muta perché legata a fatti accidentali che dipendono da una data situazione sociale e storica. Il delirio non è jihādista, cristiano integralista oppure induista. Il delirio è delirio e cambia riferendosi a questo o quell’obbiettivo accidentalmente.


    Per conoscere e poter contrastare il terrorismo alla radice, è necessario capire che non è l’obiettivo la sostanza del problema. L’atto terroristico in sé non è l’essenza del problema. Esso è solo il compimento di un delirio che affonda le proprie radici nella disperazione dovuta al fallimento di rapporti interumani deludenti. Solo se la naturale certezza dell’umano viene delusa si perde la speranza e ci si avvia verso la disperazione. Disperazione che può essere “curata” solo da un ente metafisico, un dio grande e generoso che chiede solo un “piccolo contributo”: il martirio del fedele e il sacrificio degli infedeli.

    Detto questo è chiaro che, allo stato delle cose, le forze dell’ordine debbano intervenire anche preventivamente per cercare di fermare questi pazzi fanatici. Ma poi ci si deve chiedere chi sono dal punto di vita umano questi individui divenuti, e non nati, orrendi assassini. Ci si deve anche chiedere chi sono coloro che, deludendoli e negando loro l’umanità, li hanno fatti divenire mostri assetati di sangue. Se non si fa questa ricerca, se non si indica nella malattia mentale la genesi della violenza, la strada della distruzione della democrazia e della civiltà sono segnate. Si useranno questi fatti per tradire la democrazia e si impoverirà la civiltà mettendosi sullo stesso piano dei teroristi.

    Alzare il livello del conflitto, indicando il nemico in una religione, in una etnia, in una cittadinanza, come stanno facendo alcuni nostri politici ebbri di schede elettorali, serve solo a dare una ragione in più per commettere altri atti terroristici.
    Certamente ci sono moventi utilitaristici in questi modo di fare, come vincere le elezioni per esempio. Ma se scaviamo più in profondità anche coloro che alzano il livello di conflitto per proprio tornaconto personale, in fondo in fondo non sono affatto diversi dai cattivi mastri e dai mandanti delle stragi di Parigi, di Beirut e di ogni altro luogo in cui esseri umani vengono decimati fisicamente e/o psichicamente al grido di «Allah u Akbar» o «Dio lo vuole» o «Questa è una guerra santa» o «Padania libera» ecc. ecc..

    15 novembre 2015

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