• Joseph Conrad – Cuore di tenebra – Recensione –

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    di Gian Carlo Zanon

    Le opere importanti, quelle che hanno una lunga vita, divenendo dei “classici”, devono la loro fortuna letteraria ai molti di strati di lettura che danno loro eternità e valore. Cuore di tenebra di Joseph Conrad è una di queste opere. Tra le opere di Conrad, questo breve romanzo, è forse il più rivisitato; pensiamo ad Apocalypse now di F.F. Coppola, ma anche in Solaris di Stanislaw Lew se ne possono individuare alcune tracce.

    Cuore di tenebra, in un gioco di incastri letterari, narra di un capitano di navi, Marlow, il quale nascosto nella penombra di un’imbarcazione, in attesa di discendere le acque tenebrose del Tamigi, a sua volta racconta ad alcuni marinai il suo viaggio verso l’ignoto alla ricerca di un uomo leggendario: Kurtz.

    Il racconto di Marlow-Conrad, ad una prima lettura, sembrerebbe banale, ma non lo è affatto: la storia narrata è piuttosto criptica … è come se nel suo interno ci fosse qualcosa che rimane nascosto oltre «la soglia dell’invisibile» dove Kurz si è inoltrato, perdendosi per sempre.

    Molto spesso, chi legge lo fa in modo superficiale, legge, vede ma non guarda. Vedere è passività, guardare al contrario è un’attività. Chi recensisce un testo, come nel nostro caso, prova a fornire al lettore uno strumento interpretativo che possa far comprendere meglio ciò che andrà a leggere. Interpretando il testo egli offre il suo sguardo, ovviamente soggettivo, che può divenire una chiave di lettura per comprendere ciò che sta occultato all’interno di un’opera letteraria. Beh, questa volta l’impresa è ardua.

    Scrive Marco Correli, nella sua dotta introduzione all’opera di Conrad: «Marlow è il narratore scettico e disincantato che cerca di spiegare agli altri e soprattutto a se stesso la natura di quella darkness che ancora lo perseguita». Ma qual’ è  la sostanza della tenebra di cui parla Conrad? Forse questa volta è meglio farsi aiutare. Massimo Fagioli ha scritto qualche anno fa, sulle pagine di Left, che solo i poeti “… parlano di quel mondo invisibile della mente umana, che è stato sempre definito inconoscibile”.

    Forse per Conrad-Marlow la “tenebra” è ciò che è sempre stato definito “l’inconoscibile”? Che invece per Fagioli è “quel mondo dell’invisibile della mente umana”, l’irrazionale, la realtà umana non cosciente? Se Conrad pensa all’inconscio come “cuore di tenebra” deve necessariamente pensare a qualcosa di profondamente oscuro nel quale non si può distinguere nulla e quindi deve immaginare qualcosa di inconoscibile.

    Conrad scrive Heart of Darkness nel 1902. Nel 1900 Sigmund Freud pubblica L’interpretazione dei sogni utilizzando il termine Das Unbewusste che è stato sempre tradotto in italiano con la parola inconscio, ma che in realtà significa inconoscibile. Certamente non è questo lo spazio e forse non abbiamo neppure la capacità per addentrarci troppo nella ‘teoria della nascita’ di cui Massimo Fagioli ha parlato, sin dal 1971, nella sua tetralogia, nondimeno però, possiamo consigliare il volume delle sue lezioni tenute all’Università di Chieti nel 2003, che ha per titolo, appunto, Das Unbewusste, dove egli espone il suo pensiero sulla invisibile realtà inconscia degli esseri umani che, forse, Conrad chiamò “cuore di tenebra”.

    Possiamo però chiederci: ma se per Freud la realtà interna degli esseri umani è “inconoscibile” come può essere “colui che ha scoperto l’inconscio”, come la vulgata culturale e le agiografie dei suoi ultimi epigoni, continuano ad affermare? Tutto questo potrebbe suonare come una mera digressione, ma, se non si cerca di comprendere che senso aveva per Conrad-Marlow l’espressione “cuore di tenebra” non si comprende nulla di questo racconto.

    Nel testo l’autore ripete in modo ridondante l’espressione che da nome al romanzo, aumentando a dismisura lo spessore della parola tenebra già semanticamente possente; la ripete continuamente come a cercare nell’interno della parola stessa una risposta o, forse la utilizza in modo ‘magico’ per evocare un’immagine possibile che gli permetta di varcare quella soglia dell’invisibile oltre la quale il suo alter ego Marlow non ha il coraggio di entrare: «… lui, (Kurtz N.d.R.) aveva varcato la soglia, mentre a me era stato permesso di ritrarre il mio piede esitante ».

    Innumerevoli lettori di questo romanzo si saranno chiesti cosa o chi rappresentasse Kurtz. Certamente un’immagine oscura, non comune. Forse un’immagine di uomo che cercando la sorgente del pensiero si è perduto in una delle mille paludi che fiancheggiano i fiumi; forse Conrad cercava un ideale di essere umano che però deve pagare per aver osato oltrepassare la soglia dell’invisibile, per aver intravisto il cuore della tenebra.

    Ci sono nel romanzo due immagini femminili che possono svelare qualcosa di questo personaggio; due donne che rappresentano la scissione che fa fallire la ricerca di Kurtz. La prima è la sua amante, creatura della tenebra: «Era selvaggia e superba, – narra Marlow – di occhi tempestosi e magnifica; c’era qualcosa di regale e sinistro nel suo incedere … ».

    La seconda è la fidanzata europea, è sempre Marlow a descriverla: « Quei capelli biondi, quel viso pallido, quella fronte pura … ». Marlow narra di queste due donne che, nonostante la loro totale diversità, compiono un identico gesto: tendono le braccia verso … un uomo assente.

    Chissà se Conrad aveva inconsapevolmente intuito che per l’uomo, senza un’immagine femminile interna, nella quale siano fuse identità e sessualità, non è possibile andare oltre la soglia dell’invisibile senza smarrire la strada del ritorno.

    http://www.youtube.com/watch?v=FDrbkbFaVvc&feature=related

    Leggi qui il racconto

    Questa recensione è apparsa sulla rivista 4 passi del settembre 2003

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