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di Gian Carlo Zanon
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Il 20 maggio scorso, prima di assistere all’Edipo a Colono nel teatro greco di Siracusa, sono andato a visitare la Necropoli di Pantalica.
Sono sceso in due profonde gole calcaree scavate nel corso dei millenni dal fiume Anapo e dal torrente Calcinara. Per circa cinque ore mi sono immerso in questa natura satura di profumi, voci di animali e dal suono dello scorrere delle acque.
Queste gole sono sede di circa 5.000 camere funerarie di notevole interesse archeologico. La maggior parte di queste tombe sono scavate sui lati scoscesi dei canyon e quindi sono raggiungibili solo con attrezzature speciali, corde verricelli o quant’altro.
La domanda che il visitatore curioso si pone è: “perché lì e non in luoghi facilmente accessibili?” La prima risposta è ovvia: le tombe furono scavate in punti inaccessibili principalmente per due ragioni, la prima fu la protezione delle tombe da predatori e saccheggi. La seconda scelta di siti inaccessibili e segreti – come lo sarà il sepolcro di Edipo – aveva un significato sacrale da intendersi nel suo significato originario ovvero “intangibile”.
Ma ovviamente per dare così importanza ai defunti dovette giocoforza entrare in gioco quel pensiero magico religioso che crea un “legame” tra i viventi e i morti. Ovviamente parlo di un rapporto ideale univoco tra i pensieri dei viventi e il l’eidolon (fantasma- simulacro-immagine mentale) creato dal pensiero dei viventi. Ma al di là di ogni classificazione razionalistica, di fatto, in ogni cultura, in ogni latitudine e in ogni tempo abitato dall’homo sapiens, questo legame tra vivi e morti è sempre esistito: i vivi si sono sempre presi cura dei morti. Perché lo hanno sempre fatto? Penso che le intenzioni inconsce siano essenzialmente due: a) elaborazione del lutto, ovvero un tempo e un luogo in cui elaborare i ricordi trasformandoli in memoria privata o/e collettiva nelle varie forme offerte dalla cultura di appartenenza. b) separazione da chi scompare che richiede la rielaborazione del rapporto e quindi la ricreazione di un simulacro mentale con cui “convivere” per il giusto tempo della separazione. La morte è l’ultimo il definitivo “rito di passaggio” e come tale va vissuto senza annullamenti anaffettivi.
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Questa introduzione sul rapporto tra vivi e i morti l’ho scritta per descrivere più pienamente possibile ciò che culturalmente sta a monte e si incarna nella tragedia Edipo a Colono di Sofocle.
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La tragedia di Sofocle idealmente si incastona tra l’Edipo tiranno* e l’Antigone. Infatti l’arrivo del vecchio Edipo nel bosco delle Eumenidi ad Atene e la preparazione di quella fatale battaglia che vedrà Polinice e Eteocle uccidersi vicendevolmente, è concomitante.
In questo dramma vediamo il vecchio Edipo, cieco ed apolide, giungere a Colono, accompagnato da Antigone, ed entrare nel bosco sacro dedicato alle Eumenidi (le benevoli). Edipo, sa che ormai la sua fine è vicina. Intanto gira voce di un oracolo: la città che ospiterà la tomba di Edipo sarà per sempre protetta e invincibile.
Giunge Ismene, altra figlia di Edipo, portando notizie di Tebe: Eteocle e Polinice si contendono il trono e il secondo sta radunando un esercito per attaccare la città. Entrambi i fratelli rivali vogliono che Edipo divenga il daìmon protettore dei loro eserciti per essere invincibili come afferma l’oracolo.
Per fare in modo che Tebe possa avere il sepolcro di Edipo Creonte, che parteggia per Eteocle, rapisce le sue figlie per costringere il vecchio cieco a seguirlo nella sua città. Creonte sta per rapire anche Edipo quando interviene Teseo re di Atene e il coro dei vecchi ateniesi che, commossi dalle parole di Edipo, decidono di aiutarlo. Le sue figlie vengono liberate e lui narra agli ateniesi i suoi tragici vissuti.
Ormai prossimo alla morte, Edipo chiede a Teseo di accompagnarlo alla tomba che dovrà essere scavata in un luogo nascosto in modo che nessuno possa impossessarsi dei suoi resti mortali.
Si conclude così il lungo e travagliato destino del Lambacide. L’oracolo si avvera e Atene, dove c’è il bosco di Colono, diventa una città protetta grazie alla presenza delle spoglie di Edipo, che così diviene un daìmòn, ovvero un nume tutelare.
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Questa messa in scena del testo di Sofocle – con la regia Robert Carsen, con Giuseppe Sartori nella parte di Edipo e Fotinì Peluso nel ruolo di Antigone – tradotto e arrangiato da Francesco Morosi, fa emergere positivamente la figura di Edipo che più volte si dichiara innocente sia dell’assassinio del padre Laio, sia del sacrilego incesto con la madre Giocasta, in quanto egli non era a conoscenza di chi essi fossero. Come sappiamo dal precedente dramma i suoi guai, sono stati guidati dagli dei perché sulla sua famiglia gravava un miasma (una maledizione) scagliato sul padre di Edipo Laio colpevole di aver violentato Crisippo, un adolescente che per la vergogna si era suicidato. Il Padre di Crisippo maledice Laio e questa maledizione sarà la ragione del susseguirsi degli eventi. Quindi l’inconsapevole Edipo è innocente.
Fedele al testo è anche la figura di Creonte che nell’Edipo a Colono mostra tutta la sua infamia che lo caratterizzerà poi nel successivo dramma.
Anche qui il personaggio di Creonte viene rappresentato come un malvagio. Il giudizio di Sofocle su di lui lo si vede già nell’Edipo a Colono: egli rapisce le figlie per obbligare Edipo a seguirlo a Tebe e poi con la violenza tenta di rapire Edipo stesso. Solo l’intervento di Teseo, re di Atene lo salva. Come dicevo, Edipo diverrà un daímòn patrono della città. Ovvero diverrà, come era usanza, una divinità eponima, un patrono – e quindi un tramite tra i cittadini e gli dei – a cui affidare le sorti della polis. Edipo verrà accompagnato da Teseo nel bosco sacro alle Eumenidi a Colono e lì sparirà “per volontà degli dei”, dopo aver predetto al re di Atene una lunga prosperità per la sua città.
Creonte quindi si dimostra un vile che per suoi scopi personali vorrebbe rapire Edipo con la forza dopo aver cercato di convincerlo a tornare a Tebe con ipocrite lusinghe: nei (vv. 761 -762) Edipo lo accusa di «un’astuta apparenza di onestà», dice che dimostrerà ai cittadini di Atene la sua malvagità (v. 783). Creonte lo ricatta dicendogli che già ha rapito Ismene e che rapirà anche Antigone se non lo seguirà a Tebe: «Delle tue figlie, una l’ho rapita poco fa e l’ho fatta portare via, l’altra la condurrò con me» (vv. 719 – 20). Creonte «(alle guardie) È tempo che voi portiate via costei: anche a forza, se non vuole muoversi» (vv. 826 -827).
Nel litigio che segue con il corifeo ateniese Creonte ancora una volta si dimostra malvagio: «Corifeo: Vedi a che sei giunto straniero? Per la tua origine sembri un uomo giusto, ma dalle tue azioni ti si scopre malvagio» (VV.937- 938). Creonte è arrogante, violento e si autodefinisce tracotante, immerso nella hybris (v.883). Solo l’intervento di Teseo, sovrano di Atene, sopraggiunto con uomini in armi, impedisce che le ignobili pretese di Creonte trionfino. Infatti vedremo le figlie di Edipo che, salvate da Teseo, vengono restituite al padre. In questo scontro Sofocle mostra fuor di ogni dubbio la vera natura malvagia di Creonte ed egli si rivela per ciò che è e che, ovviamente, continuerà ad essere anche nella messa in scena di Antigone.
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Ma la di là della misurata traduzione Francesco Morosi, dell’ottima recitazione degli attori, della magnifica scenografia, del luogo magico in cui si è svolta la scena, – il teatro greco di Siracusa – la tragedia di Sofocle non si potrà esprimere compiutamente fintanto che la cavea verrà invasa da rumorosi liceali senza quella sensibilità umana necessaria per essere anch’essi attori e creatori di quell’atmosfera senza la quale la rappresentazione scenica si impoverisce di senso. Peccato… a causa di un pubblico indecoroso che il 20 maggio scorso ha sfregiato questa superba rappresentazione scenica, non mi sono potuto godere fino in fondo l’Edipo a Colono di Sofocle. Che amarezza.
-*Edipo tiranno Οἰδίπoυς τύραννoς e non Edipo re (Βασιλεύς). Questo è il titolo originario della tragedia sofoclea in quanto Edipo, apparentemente, diviene reggente di Tebe non per successione dinastica ma per diritto acquisito per meriti civili: egli libera Tebe dalla sfinge che devastava la città mietendo vittime. Poi in realtà egli si rivelerà come discendente di Laio e quindi…
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16 giugno 2025