• Enciclopedia del Crimine – La storia di Han Van Meegeren e dei falsi Vermeer (terza parte)

      0 commenti


     Vermeer: L’arte della pittura


    Un compendio della migliore forma d’arte

     

    Il 30 agosto 1937 Boon scrisse a Bredius. L’incontro fra i due uomini ebbe luogo qualche giorno dopo nella tenuta dell’esperto, a Monaco. Di fronte al racconto propinatogli, e soprattutto davanti al quadro, Bredius reagì come Van Meegeren aveva previsto. Davanti al Cristo a Emmaus il nobile e vecchio esperto fu colto da una incontenibile emozione: si trovava di fronte alla probabilità in cui non osava più sperare e che confermava ancora una volta le sue teorie sull’opera di Vermeer. Per due interi giorni esaminò la tela, che lo riempiva di un’ammirazione senza limiti. Il tema, la maniera, la tecnica del quadro impressionarono favorevolmente l’esperto: il modo di punteggiare

    di Vermeer, l’ispirazione religiosa, l’accostamento a un soggetto del Caravaggio, i personaggi che ricordavano altre figure del maestro, l’inconfondibile firma, l’ortodossia dei colori e la presenza delle spaccature rinsaldarono definitivamente la sua convinzione.

    L’entusiasmo di Bredius era tale che, fatta scattare una foto del quadro, senza procedere ad altri esami, vi redasse subito sul retro il seguente attestato di autenticità:

     

    «Questa magnifica opera di Vermeer, il Vermeer di Delft, grazie a Dio è uscita dall’ombra in cui era relegata da parecchi anni. È immacolata, intatta, come se uscisse ora dallo studio dell’artista. Il soggetto rappresentato è unico in tutta la sua opera. Dalla tela sprigiona una profondità di sentimento come non si trova in nessun altro quadro. Quando quest’opera mi è stata mostrata per la prima volta, ho contenuto a stento la mia emozione, e credo che molti di coloro che avranno la fortuna di contemplare questo quadro proveranno lo stesso effetto. La composizione, l’espressione, il colore costituiscono un compendio della migliore forma d’arte, della più alta bellezza.

     

    Bredius settembre 1937»

     

     

    Van Meegeren: Isacco benedice Giacobbe

     

    Il mercato

     

    Ormai era fatta. L’opera di Vermeer se era arricchita di un capolavoro unico. Ci si può fare sorprendere per l’invulnerabilità del certificato di un esperto. Ma è così. Il mercato della pittura è fondato su attestati del genere. In questo campo conta anzitutto la soggettività, che si confonde presto con la finanza.

     

    Il traffico delle opere d’arte è una fonte di guadagni talmente alti che, a meno di dubbi immediatamente condivisi da più esperti, nessuno ha interesse a smascherare i falsi.

     

    Tutti i quadri autenticati senza controversie sfuggono all’indagine scientifica (chimica, radiografica eccetera). In ogni caso, l’opera di Van Meegeren avrebbe superato certamente ogni tipo di analisi.

     

    Una volta in possesso del certificato di Bredius, Boon rientrò a Parigi e depositò il quadro in un luogo sicuro, in una banca. E cominciò a cercare un acquirente.

     

    Gli  articoli precedenti li potete leggere qui

    Il prezzo richiesto era di 90.000 lire. A questo punto si manifestò l’unica contestazione sull’autenticità del dipinto. Il rappresentante a Parigi di un mercante di quadri di New York, Duveen, dopo aver visto la tela, spedì, il 4 ottobre 1937, il seguente cablo indirizzato al suo accomandatario:

     

    «Visto oggi in banca Vermeer grandi dimensioni circa quattro piedi per tre cena di Cristo a Emmaus presunta appartenenuto a collezione privata autenticato da Bredius che prepara articolo per Burlington Magazine di novembre Stop prezzo novantamila lire Stop falso marcio».

     

    Questo messaggio, discorde dagli altri, sarebbe rimasto senza eco. Ma pur non discreditando l’opera, avrebbe ritardato sensibilizzare nuovi acquirenti, si sarebbe dovuto attendere l’articolo epico che Bredius pubblicò sul Burlington Magazine.

     

    Vermeer: Ragazza che legge alla finestra

    La critica si esalta. L’articolo di Bredius

     

    « Uno dei momenti meravigliosi della vita di un amatore d’arte si vive quando ci si trova improvvisamente di fronte a un quadro di cui si ignorava l’esistenza e che risulta essere di un grande maestro.

    Specie quando si tratti di un quadro conservato bene, senza restauri, come se fosse appena uscito dallo studio del pittore.

    La bella firma “I. V. Meer” (LV.M. disposte a monogramma) e il punteggiato sul pane che Cristo benedice non sono indispensabili per convincerci che ci troviamo davanti a un capolavoro -sono tentato di dire il capolavoro – di Johannes Vermeer di Delft, uno dei quadri più grandi per dimensione, un’opera completamente differente da tutte le altre, di cui, tuttavia, ogni pennellata non può non essere attribuita a Vermeer. Il soggetto tratta di Cristo e dei discepoli a Emmaus. I colori sono magnifici e molto caratteristici, in particolare l’ammirevole blu del vestito di Cristo; il discepolo di sinistra, di cui non si vede il viso, è dipinto in un grigio delicato, l’altro discepolo, che sta a destra, è in giallo, il giallo del celebre Vermeer che si trova a Dresda, ma un po’ più addolcito, in perfetta armonia con gli altri colori. La serva è vestita di bruno cupo e grigio scuro; ha una meravigliosa espressione. L’espressione è del resto la caratteristica più stupenda di questo quadro unico. Straordinario è il viso di Cristo, che riflette serenità e tristezza, come se pensasse a tutte le sofferenze che lui, il Figlio di Dio, ha dovuto patire nel corso della sua vita terrena, un viso nonostante tutto pieno di bontà. Nel suo busto c’è qualcosa che mi ricorda lo studio molto noto del Museo di Brera, a Milano, considerato come uno schizzo di Leonardo per il Cristo della Cena. Cristo è sul punto di rompere il pane, nel momento in cui, come riporta il Nuovo Testamento, gli occhi dei discepoli si aprono e riconoscono il Cristo risorto e seduto davanti a loro. Il discepolo di destra, di profilo nel quadro, esprime una muta adorazione mista a sbalordimento.

     

    In nessun altro quadro del grande maestro di Delft troviamo un tale sentimento, una così profonda intelligenza del testo biblico, un sentimento nobile e umano espresso con grandiosa arte. In quanto al periodo in cui Vermeer dipinse questo capolavoro, penso di poterlo collocare agli inizi, più o meno alla stessa epoca – o forse un po’ più tardi – del quadro di Edimburgo Cristo in casa di Marta e Maria. »

     

     

    Cristo nelle casa di Marta e Maria

     

    La riproduzione può dare solo un’idea approssimativa dello splendido effetto di luce ottenuto con la rara combinazione di colori in questo ammirevole quadro di uno degli artisti più grandi della scuola olandese.

     

    Il trionfo della paranoia

     

    Il telegramma americano era definitivamente dimenticato. Boon poteva ritornare in Olanda e cercare nuovamente dei compratori.

    La somma richiesta era però un po’ più bassa: 58.000 lire. Nel mese di dicembre 1937 il più grande mercante d’arte del paese, D.A. Hoogendijk e il direttore del museo Boymans, specialista nelle esposizioni dell’opera di Vermeer, il dottor Hannema, prestarono attivamente la loro opera per restituire all’Olanda «il capolavoro del patrimonio nazionale».

    Hoogendijk convinse un ricchissimo industriale, W. Van der Vorm, a versare la maggior parte del prezzo richiesto. Il saldo sarebbe stato pagato dalla Società Rembrandt, con l’accordo di tutti i suoi membri, primo fra tutti – per colmo d’ironia – Bredius stesso. Il Cristo a Emmaus venne offerto al museo Boymans, che si apprestava a organizzare attorno all’opera una grande esposizione.

    Van Meegeren osservava nell’ombra il funzionamento della sua macchina infernale.

    Aveva truffato gli esperti, sbalordito i critici, ottenuto una somma raramente riscossa per un’opera d’arte.

     

    Al Boymans, intanto, si curavano i particolari della mostra: prima di esporre il quadro, bisognava addobbare il museo con tutta la pompa che l’avvenimento meritava.

    Si fece ricorso al miglior restauratore olandese di quadri, Luitwieler. Questi cominciò a rinforzare la tela, incollandovene un’altra dietro, per consolidarla. Questa operazione rischiava di invalidare le prove della truffa che Van Meegeren aveva accumulato e che intendeva conservare.

    Ma Luitwieler, contrariamente alle sue abitudini, non rafforzò tutta la tela. Escluse i bordi non dipinti del quadro. E il telaio originale, che fece sostituire con un telaio nuovo, non venne distrutto, ma conservato religiosamente nelle cantine del museo. Ritoccò poi i restauri volontariamente imperfetti di Van Meegeren e infine riverniciò il quadro. La tela era finalmente pronta per la magnifica cornice.

     

    Esattamente un anno dopo la fabbricazione, il pubblico veniva invitato a contemplare il capolavoro. La mostra della primavera 1938 fu la più memorabile fra tutte quelle allestite fino allora. Attirò una folla considerevole. Il numero dei visitatori raggiunse una cifra record. È anche vero che i critici avevano preparato il terreno, non con i soliti elogi eruditi, ma con un rilancio sistematico, aggiungendo chiassose esagerazioni alle metafore già abbastanza pompose pubblicate da altri. Si passava dalla «grande opera d’arte strappata all’oblio » alla scoperta del «più grande Vermeer », per finire con «la rivelazione artistica del secolo».

     

    A questo livello di delirio generale si è quasi tentati di riflettere sulle virtù della paranoia. Certamente quella realtà, in materia di nevrosi, surclassava Van Meegeren stesso. Realizzate le sue ambizioni, il falsario poteva ora tranquillamente permettersi il lusso di mettere pubblicamente in dubbio l’autenticità dell’Emmaus.

    E in parecchie riunioni mondane Van Meegeren enumerava gli argomenti a sostegno del dubbio: Vermeer aveva veramente dipinto soggetti biblici? La tela era stata sottoposta ad analisi scientifiche? La composizione non era forse troppo banale? La tecnica un po’ piatta? E così di

    seguito. Ma la sua reputazione di denigratore nato toglieva a priori credito alle sue affermazioni e induceva gli interlocutori a rinsaldare le proprie convinzioni, facendo loro ribattere con alterigia le argomentazioni del vero autore…

    Ma non era tutto.

     

    L’esposizione stessa era un pezzo montato con rara abilità. L’apparato fastoso era stato concepitoin modo da convincere i visitatori che stavano partecipando a una cerimonia storica e che la loro commozione doveva essere all’altezza dell’avvenimento.

    Tappeto rosso, personalità in visita ufficiale, file di guardiani in grande uniforme; lo spettatore aveva diritto a tutto il cerimoniale prima di potere, per qualche istante, dare un’occhiata al capolavoro.

    Il quadro, protetto da un vero e proprio servizio d’ordine, non poteva essere guardato da molto vicino. Se qualcuno accennava un passo di troppo per ammirare meglio il blu vermeeriano o l’ineffabile espressione del Cristo, veniva subito ricondotto a distanza, con estrema fermezza.

    Van Meegeren era mescolato alla folla.

     

    Van Meegeren all’opera

     

     

    Si avvicinò quando fu il suo turno, si chinò per giudicare la qualità dei recenti ritocchi. Una guardia lo fece indietreggiare. Van Meegeren sorrise intimamente.

    Il mondo era ai suoi piedi, e se nessuno aveva il benché minimo sospetto, l’abilissimo falsario si riproponeva di far sapere tutto.

     

    Dopo il trionfo ottenuto dal Cristo a Emmaus, Van Meegeren si chiese seriamente se doveva continuare nel suo proposito: valeva la pena, a questo punto, rivelare pubblicamente l’inganno?

     

    Certo, a lui era toccata una cifra più che ragguardevole, Van Meegeren non aveva mai posseduto una fortuna simile, ma era evidente che il rumore dello scandalo e la popolarità che sarebbe derivata al suo nome gli avrebbero procurato enormi vantaggi economici, sia sul piano materiale sia su quello della fama.

    Inoltre la sua rivelazione lo avrebbe posto al centro di una gigantesca controversia,

    posizione più che redditizia – articoli, interviste, diritti di riproduzione del Cristo a Emmaus, probabile autobiografia – che avrebbe aggiunto i vantaggi finanziari a quelli della celebrità.

    Sul piano della soddisfazione morale  – o nevrotica, se vogliamo – svelando la verità, Van Meegeren avrebbe evitato I’irreparabile e avrebbe messo il mondo della critica, degli storici d’arte e dei mercanti, al loro giusto posto: quello della «non infallibilità».

     

    Ma, com’era immaginabile, non fece niente. Il desiderio di condurre una facile vita prevalse su quello della vendetta. Van Meegeren tacque e cominciò a spendere pazzamente e nei modi più impensabili il denaro incassato. Durante il viaggio di ritorno a Roquebrune aveva già speso tanto che la restituzione era divenuta ormai impossibile.

    La decisione era presa: ormai è un falsario.

     

    E continua a dilapidare i soldi. Qualche mese dopo la vendita del falso Vermeer, Van Meegeren è costretto a rimettersi al lavoro: sente ancora la passione per dipingere, anche se, come pittore, non esisteva più. Al suo posto si affermava Van Meegeren falsario.

    Il soggetto della sua nuova truffa sarebbe stato Pieter de Hooch. Contrariamente alla sua scelta nei riguardi di Vermeer, il falsario ora avrebbe prodotto un de Hooch perfettamente attendibile. L’Interno con bevitori riproduceva fedelmente l’atmosfera e lo stile di quel grande pittore, e d’altro canto s’ispirava ai Gìocatori di carte, di Buckingham Palace. Nell’estate 1938, la decisione era presa per sempre: un secondo falso usciva dalle mani di Van Meegeren.

     

     

    Un dipinto di de Hooch

     

    L’Interno con bevitori (cm 80×69) era firmato P.D.H., 1658. Il nuovo sforzo del falsario consisteva nel rendere accettabile l’esistenza di due quadri tanto simili l’uno all’altro, dipinti da un grande maestro. Ma una situazione del genere non era molto fuori dell’ordinario, trattandosi di pittori

    del XVII secolo. Essi, infatti, erano soliti dipingere serie di tele trattando temi molto simili. Questa volta Van Meegeren si comportò come un falsario normale. Si assumeva, è vero, un rischio superiore a quello corso per il Cristo a Emmaus, mail suo virtuosismo tecnico lo metteva al riparo da qualsiasi passo falso. Van Meegeren aveva superato se stesso: sei strati di pittura (invece dei tre usati per il falso Vermeer) e le famose screpolature ‘vecchie di tre secoli’ vennero prodotte artificialmente con parecchi passaggi al forno.

    L’Interno con bevitori era un de Hooch come tutti gli altri.

    Dopo un anno di transazioni, questo quadro avrebbe preso posto nella collezione privata di un mecenate, Van Beuningen,la cui collezione, la più celebre e ricca d’Olanda, costituiva da sola un certificato di autenticità per tutte le tele che vi figuravano.

     

    Ancora una volta l’intermediario fu il dottor Boon. La provenienza dell’Interno con bevitori gli venne annunciata come quella del Cristo a Emmaus, (cioè la mitica Mavroecke che vendeva un nuovo quadro della sua non meno mitica collezione italiana). Boon prese contatto con P. de Boer, uno dei più grossi mercanti olandesi di quadri, che avrebbe convinto Van Beuningen ad acquistare la tela.

    L’ammontare della transazione fu di 220.000 fiorini dei quali il 70 per cento toccò a Van Meegeren.

     

    Vermeer: La mezzana

     

     

    L’unico de Hooch di Nizza

     

    Durante I’estate del 1938, Van Meegeren, in compagnia di Jo, la sua compagna, lasciava la casa di Roquebrune per il quartiere dell’arena di Cimiez, a Nizza. Qui comprò una villa, chiamata “L’Estate”, una delle più fastose della zona.

    I locali vennero ammobiliati con il massimo sfarzo, e festeggiamenti, riunioni, ricevimenti, non si contarono più. In quel periodo, oltre metà del guadagno dell’Emmaus era sparito. Era evidente, tuttavia, che a Van Meegeren non mancavano le prospettive di futuri guadagni.

    Il secondo de Hooch dipinto da Van Meegeren fu l’Interno con giocatori di carte (cm 75×62), il primo de Hooch di Nizza. Terminato nei primi mesi del 1939, questo dipinto ricordava l’Interno olandese, conservato al Metropolitan Museum di New York. Le caratteristiche comuni ai due quadri erano talmente evidenti che nessuno poteva dubitare che non si trattasse di una tela dipinta da de Hooch per completare una serie.

     

     

    de Hooch: interno con giocatori di carte

     

     

    Questo nuovo falso sarebbe stato messo in circolazione più tardi, e avrebbe trovato un acquirente solo nel 1941, per la somma di 219 000 fiorini. L’acquirente era un ricchissimo industriale, Van der Vorm. La transazione fu condotta da un nuovo intermediario, Strijbis, un agente immobiliare dell’Aia. La convinzione di Van der Vorm sarebbe stata opera del solito Hoogendijk.

    Cos’era successo nel frattempo a Van Meegeren, dopo il 1939?

     

     

     

    Ritorno a Vermeer

     

    « Amico, attraverso un periodo di folli disposizioni artistiche, altrimenti vi manderei al diavolo!

    Anzitutto ci sono novità! » Così comincia la lettera indftizzata da Van Meegeren a Boon, nel luglio del 1939. Questa lettera, della massima importanza, annunciava nuove ‘scoperte’: «Lunedì scorso, Mavroecke ha fatto irruzione in casa nostra, con delle lettere di sua figlia, di cui una importantissima per noi. Le scriveva che il cugino di Mavroecke, Germain, che vive nel suo castello del Mezzogiorno, desiderava vederla, perché sta morendo di cancro (ha 86 anni). Mavroecke è una delle sue eredi. La ragazza scriveva di aver visto una foto dell’Emmaus e che desiderava vendere qualche quadro della collezione personale (credo di avervene già parlato).

    Ma ricordava di aver visto in casa di Germain, che possiede una collezione della stessa origine di quella del padre (collezione che questi aveva portato via quando si sposò), un quadro di soggetto biblico simile all’Emmaus, ma molto più grande e con molti santi. Martedì mi sono recato sul

    luogo in compagnia di Mavroecke: abbiamo trascorso due giorni in cerca di santi, ma abbiamo trovato soltanto quadri epoche più recenti. Sabato, finalmente, domestico ci ha detto che in soffitta aveva visto qualche tela arrotolata.

    E lì, insieme, abbiamo scoperto un quadro: l’opera più bella e importante che sia mai stata creata. Si tratta di una Cena  dipinta da… Johannes, molto più grande e più bella del quadro di Rotterdam, (il Cristo a Emmaus). Una composizione sconvolgente, nobile e drammatica, sublime più di tutti gli altri suoi dipinti. È forse la sua ultima opera ed è firmata su uno(spazio lasciato vuoto sulla tavola, all’incirca m 2,70 x1,50.

    Dopo averla nuovamente arrotolata, abbiamo errato come due pazzi nei dintorni. Cosa fare?

    Mi sembrava quasi impossibile venderla, sebbene fosse perfetta, come al momento della composizione. Non è stata intelaiata, è intatta, senza cornice né telaio. Mi è dispiaciuto molto aver dovuto rimetterla a posto, dopo lunga esitazione.

    Immaginate un Cristo di un’indicibile tristezza che guarda, gli occhi socchiusi, da dietro una coppa di vino; un san Giovanni che esprime una dolce malinconia; un Pietro – no, è impossibile descrivere

    quest’ultimo una sinfonia della massima bellezza, come non ne avevano dipinto prima né Leonardo, né Rembrandt, né Velazuez, né alcun altro maestro che abbia dipinto la Cena. »

     

    Questa Cena, dipinta da Van MeegerenI nel 1939, sarebbe venuta alla luce dopo la morte del suo autore. Le circostanze storiche rimandarono il progetto, per parecchie ragioni. Dopo la dichiarazione di guerra, il dottor Boon sparì letteralmente senza lasciare indirizzo. Temendo l’arrivo delle truppe naziste, lasciò l’Europa. Nessuno lo avrebbe mai rivisto. La lettera citata non ebbe nessun effetto, tanto più che sei settimane dopo averla scritta, Van Meegeren, in compagnia di Jo, lasciò Nizza per l’Olanda. La guerra lo separò definitivamente dalla sua villa mediterranea, dove lasciò parecchi quadri, parecchie prove della sua attività, e specialmente questa Cena, che sarebbe stata ritrovata solo nel 1948.

     

    Quando arrivò in Olanda, Van Meegeren aveva con sé molto denaro. I denari che ancora gli restavano dalla vendita del Cristo a Emmaus e dell’Interno con bevitori gli permettevano di spendere moltissimo.

     

    In un primo momento la coppia visse in albergo ma, nel 1940, comprò una casa in Olanda. Trovarono nei pressi di Amsterdam, nel bellissimo territorio del villaggio di Laren, una grande tenuta in cui installare un nuovo studio-laboratorio. Il falsario investì nell’acquisto parecchio denaro, ma aveva ancora l’Interno con giocatori di carte, che si era preoccupato di portarsi dietro e per cui avrebbe trovato un acquirente entro l’anno.

     

    Ultimato il laboratorio di Laren, cominciò la realizzazione di un Busto del Redentore, un piccolo quadro (cm 48×30) che sarebbe apparso come uno studio preliminare per una più ampia opera vermeeriana.

    Questa tela gli permise di collaudare il suo nuovo forno. Sebbene, meno perfetto dal punto di vista dell’invecchiamento artificiale, dava tuttavia dei risultati passabili. Anche questa volta, per la vendita del Busto del Redentore, il falsario si servì della mediazione di Strijbis.

     

    ‘Ragazza con l’orecchino’ in versione contemporanea

     

    Una transazione

     

    R. Strijbis, originario di Apeldoorn, una cittadina vicina a Deventer (la cirtà in cui Han Van Meegeren era nato e in cui aveva trascorso la sua giovinezza) era un agente immobiliare che dell’arte ignorava tutto e che, tra l’altro, nutriva una certa indifferenza nei riguardi dei grandi maestri del XVII secolo. Conosceva Van Meegeren fin dall’infanzia, e il denaro gli faceva gola. Non c’era quindi da stupirsi se accettava senza il minimo sospetto i racconti del falsario sulla provenienza dei ‘capolavori’. Van Meegbren aveva sparso voce di aver comperato, da un’antica famiglia dell’Aia in ristrettezze economiche, una partita di quadri, alcuni dei quali, dopo un attento esame, gli erano sembrati di inestimabile valore. Specialmente un de Hooch –Interno con giocatori di carte e parecchi Vermeer, fra cui il Busto del Redentore.

     

    Il falsario promise al mediatore, come compenso per le sue prestazioni, un sesto del ricavo. L’agente immobiliare, strabiliato e sedotto dall’enormità delle cifre in ballo, dimostrò presto un’abilità più che rara nello svolgimento del suo nuovo lavoro.

    Fu lui a convincere il mercante di quadri Hoogendijk a comprare e autenticare l’Interno con giocatori di carte e il Busto del Redentore. Quando quest’ultimo volle sapere la provenienza delle tele,

    Strijbis ricorse a tutta la sua opera di persuasione per convincere il suo interlocutore che il proprietario di quei capolavori desiderava mantenere l’incognito: le grandi famiglie sul lastrico preferiscono la discrezione.

     

    Hoogendijk contattò il mecenate Van Beuningen (già possessore dell’Interno con bevitori) e concluse la vendita per la somma globale di 475 000 fiorini. Il Busto del Redentore, questa piccola tela, raggiunse quel folle prezzo perché evidentemente era della stessa mano del Cristo a Emmaus.

    Risultato della transazione: i 475.000 fiorini.

     

     

    Han van Meegeren: Ultima cena

     

     

    La seconda Cena

     

    Mentre si concludeva la transazione, Van Meegeren fu di nuovo sollecitato a creare un altro Vermeer. Questa volta il fondo sarebbe stato costituito da una tela del XVII secolo, un Hondius che raffigurava una scena di caccia, che Van Meegeren aveva acquistato qualche anno prima

    (I fratelli Douwes, vecchi proprietari della tela, avevano conservato nei loro archivi una foto del quadro.) Ormai il falsario era talmente sicuro del fatto suo che non curava più come in passato la fastidiosa raschiatura della vecchia tela, e lasciò sotto la sua pittura ‘vermeeriana’ due strati di Hondius. Avendo inoltre scelto con grande disinvoltura di dipingere una Cena su una Scena di caccia, che non aveva del tutto cancellato, rischiava di essere sospettato alla prima radiografia: non era stato mai constatato, presso i grandi maestri del XVII secolo quando qualche volta dipingevano su tele già usate, una tale differenza nella scelta dei soggetti.

     

    Questa seconda versione della Cena (cm 174×244) costituiva, per le sue dimensioni, il falso più audace. Vermeer non aveva mai dipinto quadri così grandi.

    L’invecchiamento artificiale, inoltre, necessitava di un forno gigantesco e occorreva maneggiare la tela con la massima precauzione. E, infine, sistemare tredici personaggi, a grandezza naturale, in uno spazio cheli restringeva, costituiva un problema estetico dei più ardui. Ma il virtuosismo del

    falso Vermeer era capace di risolvere ognidifficoltà. Il falsario continuò a giocare sull’effetto prodotto dall’Emmaus, e dal Cristo del Busto ilel Redentore, e la Cena rimandava direttamente al modello dell’Emmaus. Altra sfumatura sottile, il viso di San Giovanni, nella Cena, era stato ripreso da Fanciulla con la perla, di Yermeer.

     

    Furono chiamati in causa gli stessi personaggi: Strijbis, Hoogendijk, Van Beuningen.

    Quest’ultimo era l’acquirente. La transazione, questa volta, si operò in modo particolare. In effetti la cifra richiesta sfiorava la stravaganza (ma nulla può stupire nel commercio di opere d’arte) in

    quanto la tela venne stimata il doppio del Cristo a Emmaus: 1.600.000 fiorini.

     

    Per pagare la Cena Van Beuningen diede a Hoogendijk cinque tele d’autore della sua collezione e gli restituì il Busto del Redentore, che aveva comprato qualche mese prima. Questa restituzione testimonia della buona fede di Hoogendijk; il mercante era fermamente convinto dell’autenticità

    di quei Vermeer. E infatti tenne per la sua collezione personale il Busto del Redentore, e anticipò i soldi per pagare Strijbis (e Van Meegeren). Quando vide la Cena, Hoogendijk dichiarò: «È l’opera più straordinaria che esista! »

     

     

    Il mercato della pittura in Olanda sotto l’occupazione

     

    Com’era mai possibile una tale cecità?

    Come era riuscito Van Meegeren, che già aveva dato un saggio della sua bravura, con il Cristo a Emmaus, ad appagare le esigenze di un esperto che, dopo l’esca (il Busto del Redentore), riconosce il Capolavoro (la Cena)? Come fu possibile, in piena guerra, trovare 1.600.000 fiorini?

     

    Era il periodo della mimetizzazione. In tempi normali, il falsario non awebbe corso il rischio di piazzare tutta la sua produzione nello stesso paese, ma avrebbe disseminato dei campioni a New York, Londra, Parigi. La guerra lo tratteneva in Olanda, ma quell’impedimento si risolse, in realtà, in un vantaggio. Tutto avveniva tra poche persone: mediatore, mercante, compratore. Pubblico ed esperti professionisti non facevano parte del gioco. In effetti, era il mercante che autenticava l’opera e l’acquirente non aveva interesse a divulgare la notizia dell’acquisto. Chiunque potesse permettersi tali spese in mezzo al disagio generale, rischiava certo di non attirarsi la simpatia dei propri concittadini. In quella situazione, la ‘scoperta’ di qualche Vermeer non sembrava strana a chi voleva evitare gli inconvenienti dell’inevitabile inflazione. Investire centinaia di milioni in una tela d’autore metteva sicuramente al riparo dalla svalutazione.

     

    Anche Van Meegeren si comportava nello stesso modo: solo che aveva il vantaggio di comprare autentiche tele d’autore. Il lusso favoloso della sua casa di Laren venne arricchito da autentiche opere di artisti come Hals, Dürer, Terbooch.

     

    Continua …

     

    Leggi qui tutta la storia del caso dei falsi Vermeer

    Scrivi un commento