• Il senso delle parole: “umano, umanità”

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    di Gian Carlo Zanon

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    Terenzio: “Sono un uomo e nulla di ciò che è umano mi è estraneo”

    Latino:

    te, Hūs: qualità propria dell’uomo, natura umana, civiltà;

    m: che concerne l’uomo, la sua specie;

    mo: colui che riguardo alla specie è contrapposto agli animali e riguardo al sesso è contrapposto alla donna;

    Greco:

     

    àntropopateia, natura umana: composto dalle parole che definiscono l’essere umano, àntropos, e la passione, pathos. Come se, in questo caso, la parola greca volesse esprimere un’immagine di essere umano che è tale perché ha la passione, vale a dire non è né anaffettivo, né apatico. D’altra parte persino Aristotele diceva che un uomo indifferente alle cose della vita quasi non sembra umano.

    àntropos, essere umano, uomo, contrapposto sia a (theos, divinità), sia a (ǎnér, ândròs, uomo), e sia a (gunè, donna) ed anche allo schiavo non ritenuto, a causa della privazione della libertà, non umano.

    Quando nel mondo greco e romano si parla di àntropos, si esclude tutto ciò che non viene considerato ‘umano’ e cioè, il bambino, la donna, lo schiavo.

    Mario Vegetti, L’etica degli antichi:

    Nella Grecia classica, quando si dice àntropos, si intende « un uomo, greco, maschio, libero e dotato di una rendita . – al concetto di umanità –  non vi appartengono i barbari e gli schiavi perché privi della razionalità necessaria alla scelta. Ne sono temporaneamente esclusi bambini e adolescenti, perché la loro razionalità non è adeguatamente sviluppata. Escluse sono anche le donne perché non posseggono capacità di deliberazione autonoma»  – ed anche perché, secondo Aristotele,  sono “una anomalia della specie”.

    er il logos il modello di riferimento all’umano  è soltanto l’uomo, il maschio della specie, quindi per la cultura occidentale l’aggettivo viene posto solo dopo il nominativo uomo e, per ‘uomo’ si intende solo colui  che ha raggiunto la ragione che per i filosofi post socratici è il bene supremo.  Chi non è razionale, chi non ha abbandonato il pensiero irrazionale, non è un essere umano.

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    Sembrerebbero concezioni antiche e dimenticate ma, pensandoci bene, non lo sono affatto basta aprire gli occhi e guardare e sapere che nella democraticissima Svizzera, nel Cantone dei Grigioni, le donne hanno potuto accedere al voto solo quindici anni fa. Eppure per tutti erano considerate cittadine a tutti gli effetti, forse la credenza latente, nascosta, dice che le donne sono portatrici di un minus ignotus, una inferiorità sconosciuta, ma certa, come si crede comunemente  anche degli extracomunitari.

    Eppure le parole trovate nei vocabolari ci raccontano una storia diversa, una storia in cui le donne sono, non solo protagoniste, ma principio di tutte le cose…

    gen, principio di tutte le cose, sorgente, causa produttiva, origine

    génnò, io genero

    ne, greco – gūnaikòs, dorico – gūnà, eolico: donna, femmina

    génos : origine; provenienza; famiglia; stirpe.

    È sicuramente vero che il senso, il significato e il valore semantico delle parole cambia con il trascorrere del tempo, ma è anche vero che è la cultura dominante che, più o meno consapevolmente, li altera, li deforma.

    Possiamo solo fidarci delle parole, del loro suono. Le possiamo cogliere separatamente, prima che vengano mischiate malamente ad altre per tradire il loro senso originario. Solo così possiamo fare una ricerca.

    Noi sappiamo che, finché le donne hanno mantenuto segreto il mistero della fecondazione e della nascita, erano perlomeno alla pari degli uomini, se non egemoni, nella gestione della politica delle polis nascenti.

    Tracce del matriarcato sono riscontrabili nel mito e nella tragedia classica. Nell’Edipo tiranno di Sofocle e nell’Orestea di Eschilo le donne ( Giocasta – Clitennestra)  per poco tempo, ripristinano il matriarcato. Inoltre sappiamo che solo dopo la conquista del Peloponneso da parte dei Dori (1200 a.C.) circa,  il matriarcato perde completamente il potere.

    Ma, a quanto ci informa la cultura patriarcale, che, da più di 3000 domina quasi tutto il genere umano, il concetto di umanità è al solo appannaggio del maschio della specie umana, l’uomo. Ergo: umanità=uomo=ragione.

    Eppure nessuna radice, nessun linguaggio verbale ha un legame che confermi questa credenza, anzi.  Il semitico Adam, Uomo ma anche Terra, è molto simile al greco ǎnér, ândròs, ma non ha nessuna affinità linguistica con umano.

    Giovanni Semerano,  fu un grande studioso di lingue antiche del Vicino Oriente, ed  a lui si devono gli studi e le scoperte che hanno portato allo svelamento di quella balla culturale durata quasi due secoli,  per la quale le lingue latine provengono dall’indoeuropeo.

    Secondo Semerano furono le lingue del Vicino Oriente, accadico, hittita, semitico, arabo, che generarono le lingue greca e latina. Da quei linguaggi, nati sotto le mura di Ur che videro le gesta di Gilgameš, arriva l’eco di suoni che portano le tracce della radice del concetto di umano e di umanità. Questi suoni verbali sono ancora ben evidenti e ci portano da ben altra parte.

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    Nella lingua accadica e in quella dei Sumeri troviamo: Um, Ummu, Madre; Ummānu,Ūtum, Atum, Ummān, donna, femmina;

    Nell’Arabo e nel Semitico troviamo:  Umm , Madre; Umma , Comunità; Ummi, ‘Umm, Mamma; alle spose madri veniva messo il prefisso Umm.

    Anche le parole usate per definire la madre e l’allattamento, in ogni parte del mondo, hanno in comune la lettera ‘m’ : mamma, mamam, mama; allattare: mamar,  ecc. .

    Che questo primo suono della lallazione pre-linguistica dei neonati,  “ma-ma, la-la” sia comune ad ogni neonato ad ogni latitudine è sotto gli occhi di tutti coloro che hanno osservato i primi gemiti fonetici del bambino dai due/tre mesi di vita in poi.

    A questo punto possiamo affermare che il concetto di umanità si lega senza dubbio più al femminile che al maschile per il semplice fatto che è la madre che accudisce il bambino nei primi mesi di vita … dandogli l’umanità?

    A questo punto ci poniamo delle domande: e se umanità significasse aver permesso che la speranza del rapporto con l’altro da sé, dote della nascita, si realizzasse?

    E se umanità significasse aver mantenuto la speranza-certezza che esistono esseri umani uguali a se stessi ma che rappresentano il diverso da sé come lo era la madre nei primi mesi di vita?

    E se umanità significasse che un essere umano per essere tale deve essere nato da una donna che gli abbia confermato il senso del suo essere venuto al mondo e che quindi gli ha permesso di realizzare la propria nascita?

    Difficile rispondere; Machado scriveva: « Dicono che un uomo non è un uomo finché il suo nome non esce dalle labbra di una donna … può essere…»

    A questo punto possiamo arrischiare un’ipotesi di ricerca e dire che l’umanità appartiene a tutti coloro che, divenuti adulti, sono riusciti a conservare la capacità di immaginare e ricreare un rapporto che è simile a quello vissuto nei primi mesi di vita dal bambino tra le braccia della madre, la quale, nel periodo neonatale, rappresenta l’altro da sé per entrambi i sessi. Coloro che hanno accettato il ‘destino’ dell’essere umano, cioè quello di realizzare la propria nascita, sanno che l’umano, l’umanità, è rapporto con il diverso da sé.

    Gli esseri umani senza un rapporto profondo con altri esseri umani diversi ma eguali a sé esistono ma, forse, non sono umani.

    Al contrario, se il primario rapporto umano è fallito nella rabbia e nella delusione, a causa di un madre assente,  in seguito, l’altro da sé, che sia uno straniero o un diverso per colore di pelle o di sesso opposto, sarà sempre percepito in modo delirante come un nemico, come qualcuno del quale non ci si può fidare.

    Se sarà fallita la speranza di rapporto umano, se l’umanità, avuta in dote dalla nascita andrà perduta, di fronte al nuovo e al diverso la reazione sarà una percezione delirante che nega l’umanità a chi ci sta di fronte perché il non umano non può riconoscere l’umano.

    20 ottobre 2011

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