• Il “peccato” in Cina: storia del pensiero cinese sulla realtà umana e del dualismo occidentale cardine primario del monoteismo

      0 commenti

    32149

    di Gian Carlo Zanon

     –

     … tra il VI e il V sec. a. C., mentre nell’occidente cristiano ci si trastullava onanisticamente sulla scissione tra anima “inconsistente ma trascendente” e “corpo animale diabolico”, in Cina si cercava di capire le dinamiche della natura umana ritenuta unica e inscindibile dal corpo

     –

    Scorrendo le pagine del mio sciupatissimo libro di P. Santangelo Il “peccato” in Cina, (ed. 1991) mi conforta l’idea che si evince da questa lettura: contrariamente al pensiero occidentale, nell’ambito del confucianesimo, in Cina la realtà umana veniva prevalentemente pensata come composta da una «unica natura» (xing). Una natura umana coesa anche se percorsa da crisi che però avevano in sé anche opportunità di cambiamento. Un’idea di essere non monolitico ma attraversato da stati di quiete ed agitazione e da squilibri che prefiguravano un preesistente equilibrio. Una percezione olistica della natura umana pensata «originariamente buona»: «Come il bambino è il principio della mente dell’adulto, la mente del fanciullo è il principio della mente. Fra i capolavori del mondo non c’è n’è uno che non provenga da una mente di fanciullo» scriveva Li Zhi (1).

    Una visione della natura umana che, nella stessa epoca storica  – VII- VI- V sec. a. C. – si contrapponeva idealmente alla cultura greca dello stesso periodo.

    «Fu col VI secolo a. C. che iniziò in Grecia lo sviluppo di concezioni dualistiche, con la diffusione del mito orfico del culto di Dioniso.(…) vi si affermava una sorte di opposizione fra le due nature dell’umanità, quella materiale, il corpo (negativo, derivante dai Titani) vegetativo, e quella spirituale, l’anima (positiva, derivante da Dioniso, divorato dai Titani). Tale dualismo si distingueva da quello iranico, in quanto per quest’ultimo si svolgeva fra due poteri spirituali, la luce e le tenebre; entrambe le correnti, tuttavia, ebbero a influenzare profondamente il pensiero giudaico, quello gnostico e quello cristiano, ed hanno mantenuto ascendente sulla morale occidentale» (2)

    Il pensiero occidentale si fonda quindi, contrariamente a quello cinese, sull’idea di una scissione primaria dell’essere umano “tradotta” nei secoli – come già descritto dallo psichiatra dell’Analisi Collettiva Massimo Fagioli in alcuni dei suoi articoli su Left – in vari modi: peccato originale, nulla primario, male radicale, mancanza originaria.

    Su questa idea di una scissione originaria tra corpo e mente si basano dunque sia la filosofia greco-romana, che il monoteismo occidentale che ne fa un cardine dottrinario. Senza l’idelogia di una scissione primaria i tre monoteismi – ma soprattutto il cristianesimo – non avrebbero motivo d’esistere, perché il loro sistema filosofico perderebbe il cardine principale.

    Anche se le religioni del Libro hanno attinto a piene mani dai miti antichi e dalle precedenti religioni, questo sistema teosofico non ha precedenti perché questa scelta dottrinaria, che assume come dogma la scissione tra mente e corpo, fa da spartiacque tra il monoteismo e le precedenti religioni.

    Nell’animismo non c’è l’idea di una scissione tra “contenuto forza/energia vitale/mente” e “contenente/corpo/materia”.

    «Il termine [soprannaturale] ha acquistato diritto di cittadinanza nel linguaggio storico-religioso con l’opera di Tylor che nella credenza in spiriti (da lui chiamata ‘animismo’ e fatta risalire al bisogno intellettuale della più antica umanità di rendersi conto della differenza tra una persona viva e il suo cadavere o dei fenomeni come persone lontane viste in sogno) credeva di individuare la prima forma di religione umana.» (3)

    Nell’articolo precedente (leggi qui) accennavo al fatto di come «l’animismo – che introduce in ogni essere vivente uno spirito che lo caratterizza e gli dà movimento (immanentismo) – abbia bypassato il politeismo mutuandosi nelle religioni monoteistiche.» Detto così però è molto semplicistico perché in realtà le mutazioni che sono avvenute nei secoli non sono sempre lineari e non hanno una consequenzialità che si possa ben definire.  Il discorso è molto più complicato. Posso solo abbozzare alcuni spunti di una ricerca che richiederebbe  uno spazio ben più ampio.

    Il pensiero magico, che caratterizzava la cultura animistica, era anche un tentativo di capire ciò che nella natura era incalcolabile e imprevedibile: il vento (il maestrale per esempio) è mosso dagli spiriti del nord. E questo vale per tutto: pioggia, sole, movimento delle onde, lo sgorgare dell’acqua da una fonte, persino nel rotolare spontaneo di un sasso da una dirupo c’è una “presenza” legata indissolubilmente a ciò che dà movimento.

    Per quanto riguarda lo “spirito/forza vitale”, inteso come ciò che vivificava l’esistente,  non veniva insufflato da un dio, nasceva, e indissulubilmente, si espandeva e si muoveva ed infine “moriva” seguendo dall’inizio alla fine le vicissitudini di ciò che lo conteneva: fiume, vento, nube, pianta, animale, essere umano. Nel monoteismo sparisce questa “molteplicità divina” – che dava un’identità specifica ad ogni singolo essere vivente – e ad un dio unico farà da specchio un essere umano spaccato in due.

    Il politeismo nasce nelle polis con la funzione di rappresentare una molteplicità di istanze umane meno caotica e quindi più socialmente controllabile. Ma anche se il politeismo appare solo come un periodo di passaggio tra cultura animista e religione monoteista in realtà, assieme alla metafisica platonica, svolge un deleterio ruolo teosofico e culturale: compie il primo passo per spostare all’esterno dell’essere umano le divinità ctonie prima interiorizzate sotto forma di daímōn. Innalzati sull’Olimpo – primo gradino per accedere all’intermundia platonico e da lì proseguire verso il regno dei cieli fondendosi in un’unica divinità – istituzionalizzati e relegati, dopo la divisione della polis in demos, al ruolo di dei eponimi vale a dire a “patroni di quartiere”, le superbe divinità olimpiche perderanno il loro smalto e il loro fascinoso potere.

    Ma c’è un’altra differenza nefasta tra la cultura monoteistica e le altre:  il pensiero religioso occidentale è l’unico in cui, pur riconoscendo la differenza tra le due narrazioni, mitica e storica, il mito ebraico/greco/romano si trasforma in storia. Storia “sacra” e dogma.

    La parola mythos significava semplicemente “narrazione” e di un mito esistevano tante versioni quanti erano gli aedi che lo cantavano. Infatti la parola mythos giungerà sino a noi per indicare anche una narrazione favolistica, fantastica se non addirittura falsa. Questo perché tutti sanno che il mito non è verità storica. Nel corso dell’operazione “Cristo figlio di Dio” alcuni antichi miti mediterranei e mediorientali subiranno però una “mutazione genetica”: pur essendo palesemente racconti fantastici, diverranno storia vera, storia “sacra” in cui bisogna credere.

    Secondo alcune teorie (evemerismo) i miti conserverebbero ricordi e di vicende storiche antiche trasfigurati dalla fantasia dei narratori. Secondo altre ricerche (ermeneutica) il mito racchiuderebbe in sé non il ricordo tout court, ma la memoria di eventi antichi vale a dire il significato e il senso universale di un comportamento umano che, interpretato, si riverbera nella storia degli esseri umani per definire confini etici o narrare delle vicissitudini del rapporto tra donna e uomo: vedi le ribellioni di Prometeo e Antigone o la fabula milesia di Eros e Psyché.

    Entrambi i filoni euristici, evemerismo e ermeneutica, con un po’ buon senso possono convivere senza problemi ed insieme gettare luce sul divenire storico del pensiero umano che certamente non nasce con “Adamo il monoteista” come vorrebbero far credere le fiction bibliche ed evangeliche.

    Anche se è vero che alcuni aspetti del politeismo e dell’animismo migrano nelle tre religioni del Libro, sostanzialmente il monoteismo espelle dall’impianto dottrinario sia la molteplicità del reale ancora esistente nel politeismo, sia l’idea immanentistica propria dell’animismo. Nell’essere umano svuotato di sé viene introdotta l’anima eterna e tutto si riduce ad un solo dio soprannaturale, trascendentale, ultraterreno, onnipotente da cui proviene e da cui ritorna ogni atomo esistente. Un pensiero difettoso ed assurdo che però è reso congruo dalla credenza di circa due miliardi di persone.

    29 giugno 2016

    Note

    (1) Paolo Santangelo Il “peccato” in Cina – G. Laterza & Figli Editori Bari – 1991 – pag. 8

    (2) Ibidem – pag. 24

    (3) Angelo Brelich – Introduzione alla storia delle religioni – I.E.P.I. Editore – 1995 –pag. 21

    Scrivi un commento