• In ginocchio da te … i movimenti neo-teo-comunisti genuflessi davanti a Bergoglio e all’islam

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    Milano Leoncavallo

    di Gian Carlo Zanon

    «Se in lui era rimasta ancora una speranza di decifrare qualcosa, di capire doveva uscire da quella nebbia profonda. Scuotersi a ogni costo dalla sua sonnolenza. Anche a costo di subire dei danni. Anche a costo di una ferita. Anche a costo di una disgrazia. Doveva venire qualcuno e squarciare con una lama la membrana gelatinosa e molliccia che lo rinchiudeva da tutti i lati (..)»(1)

    Occorre una «matita ben temperata» per descrivere verbalmente la realtà politica e sociale in cui siamo immersi. Rubo questa espressione da Amos Oz, a cui appartiene anche la citazione in apertura. Non saprei neppure da dove iniziare … inizio da un commento che Antonio, uno spirito libero che ogni tanto ci pungola e ci stimola alla lotta continua contro questa cultura mediatica asfissiante incapace di dire la verità fino in fondo:

    «Basta una frase di Bergoglio – scrive Antonio – «la famiglia imbastardita dalle relazioni par time». Il gesuita perde il pelo con l’età che avanza inesorabilmente, ma non il vizio. E nonostante faccia di tutto per nasconderla, la carogna che vive nelle sue putride viscere, ogni tanto spunta fuori!
    I compagni, si fa per dire, del Leoncavallo , e non solo, in questi giorni hanno partecipato alla giornata mondiale dei movimenti popolari in Vaticano, presieduta dallo stesso Bergoglio. Una loro rappresentante, una certa Elena Iannuzzi, senza pudore, ha rilasciato ai giornalisti questa dichiarazione: «con questo papa la chiesa è ritornata alle origini, riscoprendo il messaggio originale del cristianesimo». Sono gli stessi che in una manifestazione di qualche hanno fa svoltasi a Roma per il popolo palestinese, hanno fatto salire sul loro camion in mezzo alle bandiere, rosse e nere, un imam, a lanciare i lamenti e le assurdità del corano ad una folla inginocchiata con le chiappe per aria verso la mecca … sono servite a poco le veementi proteste di alcuni compagni, che anzi sono stati allontanati in malo modo!!»

     

    Ha fatto bene Antonio a svegliarmi da quella “sonnolenza” e a “squarciare con una lama la membrana gelatinosa e molliccia” ben descritta dallo scrittore israeliano, in cui mi cullavo da troppo tempo.
    A forza di dosi massicce di epica francescana irradiata da ogni tipo di emittente mediatica, il mio pensiero era come anestetizzato: uno stimolo sensitivo, se rimane costante, ripetuto, crea omeostasi, non è più uno stimolo e quindi la reazione è impossibile. Ora è possibile.

     

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    I giornali riportano che «Elena Hileg Iannuzzi del centro sociale di Milano Leoncavallo, ha affermato che il Papa ha riportato la Chiesa alle origini, diffondendo il messaggio originale del cristianesimo (…) Le radici di sinistra del Leoncavallo e il cristianesimo sociale – fa notare E. Iannuzzi – hanno radici comuni. E spesso ci siamo trovati sulle stesse strade».

    Mi chiedo quali siano “le radici di sinistra del Leoncavallo” e quelle del “cristianesimo sociale”, evocate da E. Iannuzzi. Generalizzando, potrei affermare che i due pensieri, cristiano e comunista, sono entrambi nati con una caratteristica comune : l’annullamento dell’identità individuale e l’alienazione di sé in entità religiose e/o ideologiche che per la loro stessa natura non potevano che divenire dogmatiche bloccando lo sviluppo del pensiero. Gli sviluppi del comunismo e della Chiesa cattolica narrano una storia tragica in cui il libero pensiero è stato soffocato nel sangue. E continua ad essere soffocato: vedi la storia dell’Argentina che coinvolge direttamente Bergoglio, il papa ora tanto ammirato dai partiti e dai movimenti italiani che, come quello del Leoncavallo, si autodefiniscono di sinistra.

    Il caso dell’Argentina è esemplare e forse più di ogni altro può raccontare della mostruosità delle collusioni tra nazismo americano, fascismo argentino, Chiesa cattolica, Partito comunista sovietico, Pci. Un groviglio inestricabile a cui sono venuto a capo leggendo Niente Asilo Politico dell’ex viceconsole italiano in argentina Enrico Calamai. (leggi qui)

    Liquido subito “il Papa che ha riportato la Chiesa alle origini”, oggetto d’ammirazione per la portavoce del Leoncavallo, con una frase della scrittrice argentina Elsa Osorio: Bergoglio: «Faceva parte della gerarchia cattolica argentina. E la gerarchia era complice della dittatura. (…)» e ricordo a Elena Hileg Iannuzzi che esaltando quest’uomo annulla la verità storica storica dei trentamila desaparecidos argentini, dei loro figli rapiti, del dolore delle loro madri e delle loro nonne. Chi volesse approfondire la verità su il pontefice vaticano in carica e sul ruolo della Chiesa Cattolica argentina, leggi qui il Dossier Bergoglio.
    Io se fossi Elena Hileg Iannuzzi mi chiederei, per esempio, perché, Bergoglio non scomunica, cioè non caccia per sempre dalla Chiesa cattolica i militari argentini condannati per il genocidio argentino. Mi farei molte altre domande … ma mi chiedo se la ricerca della verità non le sia impedita dal fatto che le sue radici nascano dalla stessa terra in cui sono nate le radici di Bergoglio. E chiudo con questa brutta storia cattocomunista.


    Un groviglio inestricabile tra nazismo americano e argentino, Chiesa cattolica, Pcus e il Partito Comunista Italiano guidato in quegli anni da Enrico Berlinguer, di cui ho accennato poc’anzi cercherò di scioglierlo, per sommi capi, come meglio potrò.

    Come potete leggere nel Dossier Bergoglio il golpe militare argentino fu voluto dalle forze reazionarie argentine che volevano liberarsi una volta per tutti del “problema comunista”. Il loro sforzo catartico fu sostenuto dall’America (operazione Condor). Le forze reazionarie, militari, potere economico, Chiesa cattolica volevano, come dicevano i cappellani militari che accompagnavano i soldati che gettavano i giovani argentinii ancora vivi dagli aerei nell’oceano, separare l’erba cattiva da quella buona.

    Il “problema comunista” dava ovviamente fastidio al potere economico, esattamente come ora dà fastidio a Davide Serra, proprietario del Fondo Algebris e finanziatore principe del renzismo che pochi giorni fa alla Leopolda ha detto dal pulpito: «Lo sciopero mica è un diritto! È un costo!» e quindi … anche Hitler pensava che i malati psichiatrici e i disabili fossero un costo e li fece ammazzare tutti. Forse qui si sta ripetendo ciò che successe a sindacalisti nelle fabbriche Mercedes e Ford in Argentina. (Leggi Qui)

     

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    Il “problema comunista” dava molto fastidio alla Chiesa cattolica argentina e al Vaticano, soprattutto da quando, dopo il Consiglio episcopale latinoamericano, svoltosi nel 1968 a Medellín (Colombia), il movimento cattolico terzomondista Teologia della liberazione pose in evidenza i valori di emancipazione sociale e politica presenti nel messaggio cristiano e si appellò ai governi affinché questi principi entrassero nelle agende della politica sociale. La risposta a tutto ciò fu la sparizione o l’assassinio: nella sentenza del tribunale de La Rijoa (leggi qui) è scritto a chiare lettere che la Chiesa cattolica fu complice di crimini contro l’umanità durante la dittatura militare in Argentina tra 1976 e il 1983, e Bergoglio in quel periodo era a capo della più potente organizzazione religiosa del paese: i gesuiti.

    Infine la casta dei militari argentini che erano solo i servi delle due entità, potere economico, e Chiesa cattolica. I giornali argentini li hanno definiti los Cruzados del último genocidio argentino (I crociati dell’ultimo genocidio argentino). Furono loro a sequestrare, torturare, e lanciare, su consiglio dei gerarchi cattolici, i ragazzi argentini ancora vivi dagli aerei. Ma naturalmente non lo facevano gratis: per ogni desaparecidos c’era un crociato della chiesa Cattolica che si impadroniva delle sue ricchezze: appartamenti, terreni passavano di mano come passavano di culla i figli delle donne che partorivano durante la detenzione e che venivano battezzati nei commissariati con il cognome dei carnefici. Non c’era neppure bisogno di adottarli. I nostri ministri della semplificazione sarebbero felicissimi di tali misure. Le madri vennero fatte sparire e i figli furono allevati dai loro assassini con la benedizione della santa romana chiesa. Ma c’era anche la bassa manovalanza che si doveva “accontentare” di svuotare gli appartamenti dei desaparecidos e dei loro famigliari.
    Il libro di Enrico Calamai citato, racconta invece il silenzio in quegli anno del Pci (leggi qui), silenzio dovuto a tre motivi principali: il grano che l’Argentina mandava in Unione sovietica; l’ordine di silenzio trasmesso dal Pcus al Pci; e il compromesso storico che proprio in quegli anni il Partito comunista in Italia stava mettendo a punto con la gerarchia cattolica clericale e politica.

    Mi chiedo perché e che significato potrebbe avere questo avvicinamento tra il Vaticano e i movimenti che per il loro atteggiamento definirei neo-teo-comunisti. La risposta non può essere univoca. La prima ipotesi che mi viene in mente è che fanno parte di quel materiale umano di propaganda di cui Bergoglio fa largo uso per la sua personale propaganda. Prodotti di marketing a rapida scadenza: vedi i dipendenti della Meridiana che abbiamo visto prima osannare cristianamente Bergoglio e poi, abbandonati, bestemmiare contro chi li ha usati finché gli faceva comodo. Usati prima, usati dopo.
    La seconda ipotesi, che non esclude completamente, la prima è quella di creare bande di parabolani da usare quando verrà il momento come nel medioevo venivano usati i “domini canes” cani di Dio, contro gli eretici (catari, patarini, umiliati ecc.). In Francia hanno già un lavoro a tempo pieno: assediano pièce teatrali giudicate blasfeme. Distruggono opere d´arte a colpi di martello. Sfilano gridando che “La libertà di espressione non è più un argomento valido”. Prima o poi potrebbero servire dei fedeli che idolatrano Bergoglio.

     

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    Questa storia, tracciata a grandi linee, è in grado di raccontare solo una minima parte la storia del cattocomunismo che come un metastasi lenta ma inesorabile ha invaso la politica e la società italiana. Metastasi che, a quanto vedo, è ancora in pieno sviluppo, visto che ha contaminato anche il “glorioso Leoncavallo”. Ma forse per non farsi contaminare dal bergoglismo imperante è necessario essere guariti o non essersi mai fatti contaminare dall’alienazione religiosa. Alienazione religiosa che rende impossibile lo sviluppo del pensiero. L’alienazione religiosa di sé è essenzialmente perdita della propria libertà di sviluppo del pensiero.

    Perdita che impedisce le fasi dello sviluppo del pensiero che si ripetono ininterrotte: rapporto con la realtà, pensiero, prassi; rapporto della realtà pensiero, prassi e via via verso le infinite possibilità della ricerca umana.
    L’alienazione religiosa di sé crea un involucro permeabile ai meri significati appresi dalle percezione sensoriali ma impermeabile alle sensazioni provate durante la percezione senza le quali è impossibile “vedere” e “sentire” il senso profondo del reale popolato di affetti.

    Per “vedere” e interpretare la realtà è necessario mettersi in ascolto del proprio corpo: è necessario saper dare un nome al suo sentire che si riflette nella nostra mente e nei nostri sogni e nel nostro immaginare ciò che non si vede ma si deduce, si intuisce, si pensa… ma per descrivere tutto questo è necessaria un matita ben temperata … ben temperata dal rapporto profondo con l’altro da sé.

    29 ottobre 2014

    NOTE

    (1) Amos Oz , Conoscere una donna, Feltrinelli

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    • ciao giancarlo grazie per il tuo tempestivo e necessario articolo, oggi come non mai, viviamo in tempi miseri e poveri come non mai; di idee e di critica,a questo squallido presente.partendo da questa tua veritiera ,almeno per me; affermazione: i due pensieri cristiano e comunista sono nati entrambi con una caratteristica comune: L’ANNULLAMENTO DELL’IDENTITA INDIVIDUALE, ………posto questo scritto di dwight macdonald che malgrado porti la data del lontano 1946 trovo personalmente molto attuale, un’abbraccio!!!

      Contro il feticismo delle masse

      Dwight Macdonald

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      Al «feticismo della merce» di Marx vorrei contrapporre il nuovo moderno feticismo — quello delle masse. Più si ragiona in modo progressista, più si assume che la prova della bontà di un programma politico sia in funzione del seguito popolare che ottiene. Io oso, almeno per l’epoca presente, affermare il contrario: che, come in arte e in letteratura, la comunicabilità su vasta scala è inversamente proporzionale alla bontà di un approccio politico. Non è una cosa positiva: come nell’arte, è un fattore deformante e storpiante. Non che sia una legge eterna: in passato le idee di una sottile maggioranza, ridotta qualche volta quasi al limite di un singolo individuo, sono riuscite lentamente a conquistare sempre maggiore consenso tra i concittadini; e speriamo che lo stesso accada anche alle nostre idee. Ma tale mi sembra la nostra situazione oggi, che ci piaccia o no. Tentando di diffondere le idee politiche su scala di massa oggi si finisce per corromperle o per spogliarle di tutta la loro forza emotiva e di tutto il loro significato intellettuale. Gli stessi mezzi con cui si deve comunicare a un vasto pubblico — la radio, la stampa popolare, i film — sono infetti; il linguaggio della comunicazione di massa è infetto. Albert Camus, per esempio, redigeva il giornale di Resistenza clandestina, Combat, durante l’occupazione tedesca della Francia. Dopo la liberazione, Combat ha velocemente conquistato un vasto pubblico, e Camus è diventato uno dei più letti e influenti giornalisti politici in Francia. Però, come egli stesso mi ha detto, si è accorto che scrivere di politica in termini di grandi partiti e per le masse gli ha reso impossibile parlare della realtà, o dire la verità. E quindi si è ritirato da Combat, lasciando perdere ciò che in termini tradizionali sarebbe sembrato a un intellettuale impegnato una possibilità estremamente fortunata di diffondere le proprie idee tra le masse, guardarsi attorno e cercare un modo migliore di comunicare. Questo modo migliore, sospetto che si trovi nel parlare a poche persone di «piccoli» argomenti in modo preciso.
      Quello che vale per la comunicazione, vale anche per l’organizzazione politica. I due approcci marxisti tradizionali sull’organizzazione sono quelli della Seconda e della Terza Internazionale. La Seconda pone la sua fiducia nei partiti di massa, collegati ai grandi sindacati; la Terza, in corpi di «rivoluzionari di professione» disciplinati, centralizzati, fortemente organizzati, che guideranno le masse nella rivoluzione. Superficialmente, sembrerebbe che la vasta scala della società moderna richieda dei partiti di massa per governarla, e che il potere centralizzato dello Stato moderno possa essere contrastato solo da un partito rivoluzionario egualmente centralizzato e fortemente organizzato. In realtà sembra che sia vero proprio il contrario: lo Stato può fare a pezzi tali gruppi, che siano organizzati come partiti di massa o come i corpi di élite bolscevichi, nel momento in cui mostrano i segni di diventare una seria minaccia, proprio perché essi lottano contro lo Stato sul suo stesso terreno, perché competono con lo Stato. Il potere totale che ha assunto lo Stato oggi fa sì che solo qualcosa su un piano diverso possa opporvisi, qualcosa che combatta lo Stato da una posizione di vantaggio che le armi dello Stato possono colpire solo con difficoltà. […].
      Tutto questo significa che azioni individuali, fondate su convinzioni morali, possiedono maggiore forza oggi di quanta ne avessero due generazioni fa. Come mi ha scritto recentemente un corrispondente inglese: «La ragione decisiva per l’Obiezione di Coscienza è senza dubbio il fatto che dà peso al sentimento personale. Nel mondo di oggi, il più piccolo segno di rivolta individuale assume un peso sproporzionato rispetto al suo reale valore». Infatti, nell’arruolare gli uomini in quella società totalitaria che è l’esercito degli Stati Uniti, gli esaminatori respingono spesso chi ha dichiarato apertamente di non voler entrare nell’esercito perché convinto di non potervi essere felice. Possiamo essere certi che ciò non sia dovuto a simpatia, ma piuttosto al fatto che, in quanto uomini pratici, gli esaminatori sanno che tali soggetti sarebbero «problematici» e che il buon funzionamento di un vasto meccanismo potrebbe essere inceppato da un simile granello di sabbia proprio per la complessità dei delicati ingranaggi della macchina.
      Un’altra conclusione è che il gruppo di azione contro Il Nemico è molto efficace quando è molto spontaneo e lasco nell’organizzazione. L’opposizione dei club romantici della gioventù tedesca (Edelweiss, Black Pirates) ha probabilmente danneggiato il nazismo più che i vecchi partiti e sindacati. Infatti, la stampa mondiale riporta che recentemente si è scoperta una lista segreta di dirigenti britannici da eliminare dopo l’invasione dell’Inghilterra, in questa lista la massima priorità non è data a sindacalisti o a capi dei partiti di sinistra ma a noti pacifisti.
      Per questo, appare necessario incoraggiare comportamenti non rispettosi, scettici, che mettono in ridicolo lo Stato e tutte le autorità, invece che mettere in piedi un’autorità alternativa. È la differenza tra un attacco frontale su tutta la linea e rapide stoccate laterali nei punti in cui Il Nemico è più debole, tra il conflitto organizzato su vasta scala e le operazioni di guerriglia. I marxisti preferiscono il primo: i bolscevichi insistono sulla disciplina e sull’unità per contrastare quelle del Nemico; i riformisti tentano di vincere il potere del nemico mettendo grandi masse di votanti e di membri del sindacato sul piatto della bilancia. Ma lo status quo è troppo forte per essere rovesciato da simili tattiche; e, peggio, esse mostrano la tendenza antipatica a far passare dalla parte del Nemico

      Egoismo, o la radice è l’uomo
      È ovvio che l’azione individuale non può mai rovesciare lo status quo, ed è anche ovvio che perfino una spontanea ribellione di massa sarebbe inutile a meno che agisca in base a qualche tipo di programma e a meno che non si prendano determinate elementari misure di coordinamento e di organizzazione. Ma oggi ci troviamo di fronte a questa situazione: le masse non agiscono nel senso che la maggior parte dei lettori di questa rivista definirebbe come un fondamentale miglioramento della società. Il solo modo in cui, al momento, si può agire in questo senso (senza limitarsi a «fare il verbale» per la musa della storia marxiana con risoluzioni e manifesti «contro la guerra imperialista», «per la rivoluzione proletaria internazionale», ecc.) sembra essere quello delle azioni simboliche, basate sull’insistenza di una persona sui propri valori, e quello della creazione di piccoli gruppi fraterni che appoggino tali azioni, tengano vivo il senso dei nostri obiettivi ultimi, e funzionino sia come lievito nella società di massa sia come polo di attrazione per i suoi membri più alienati e frustrati. Queste posizioni individuali (prese da molti Obiettori di Coscienza, anche da un manipolo di scienziati atomici in questo paese e in Gran Bretagna che si sono semplicemente rifiutati di lavorare alla Bomba) hanno due vantaggi rispetto alle attività di quanti sostengono che l’azione di massa sia oggi possibile:
      1) Lanciano un immediato appello ai cittadini, l’appello dell’individuo che è abbastanza coraggioso e serio per opporsi, anche da solo se necessario, all’enorme potere dello Stato; questo incoraggia altri a resistere un po’ di più di quanto altrimenti farebbero nella loro vita di tutti i giorni, e inoltre conserva quei vivai della protesta e della ribellione da cui potrebbero in seguito sorgere cose più grandi.
      2) Conservano almeno la vitalità rivoluzionaria e i principi dei pochi individui che assumono quelle posizioni, mentre quanti intraprendono azioni di massa diventano, se restano fedeli ai loro principi, indeboliti e corrotti personalmente dal dover costantemente sottomettersi al modello di comportamento del Nemico — e molto più corrotti del borghese che si sente tutt’uno con quel modello (chiunque abbia frequentato il movimento trotzkista, per esempio, come ho fatto io, sa che a proposito di comportamento personale accettabile, sincerità, e rispetto per le opinioni dissenzienti, i «compagni» sono di solito molto peggiori di un normale agente di cambio). D’altra parte, se scendono a compromessi con i principi per stabilire un contatto con le masse, diventano semplicemente parte delle forze del Nemico, come accade nel caso del British Labour Party e dei socialisti francesi. I marxisti scherniscono l’idea dell’azione individuale e della responsabilità individuale sostenendo che a noi importa solo «salvare le nostre anime». Ma cosa c’è di terribile in questo? Non è meglio salvare l’anima di qualcuno invece di perderla? (E senza neppure conquistare il mondo!).
      Il primo passo verso un nuovo concetto di azione politica (e di moralità politica) è per ognuno decidere cosa secondo lui è giusto, cosa lo soddisfa, cosa egli desidera. E poi esaminare con metodo scientifico l’ambiente per stabilire come ottenerlo — o, se non lo può ottenere, per capire cosa può avere senza compromettere i suoi valori personali. L’egoismo deve essere restituito alla rispettabilità nei nostri schemi di valori politici. Non che l’individuo esista separatamente dai suoi vicini, nel senso di Max Stirner. Sono d’accordo con Marx e Proudhon che l’individuo può definire se stesso solo nelle sue relazioni sociali. Ma il problema è che queste siano davvero relazioni umane e non concetti astratti di classe o di storia. È stato spesso osservato che le nazioni — e, potrei aggiungere, le classi, perfino il proletariato — hanno un livello di comportamento etico più basso di quello che hanno gli individui. Se anche tutti i vincoli giuridici fossero rimossi, possiamo essere sicuri che poche persone si dedicherebbero in modo esclusivo all’omicidio o che mentirebbero costantemente ai loro amici e familiari; al contrario i dirigenti più rispettati delle attuali società, i militari e i capi politici, nelle loro funzioni pubbliche, finiscono per diventare specialisti nel mentire e nell’uccidere. Sempre, naturalmente, per nobili obiettivi, «per il bene dell’umanità».
      Un amico lo ha detto bene in una lettera che ho ricevuto alcuni mesi addietro: «Finché la moralità è tutta nei luoghi pubblici — politica, Utopia, rivoluzione (anche quella nonviolenta), progresso — i nostri costumi privati continuano a essere una nauseabonda mistura di condotta cavalleresca e cinismo: si può essere contrari o favorevoli, a seconda dei punti di vista. Siamo tutti contrari all’offesa politica, amiamo tutti l’umanità, ma gli individui sono in qualche modo duri da amare, e ancora più duri da odiare. Sogni dorati, sogni umanitari, non c’è la differenza purché profumino. Nel frattempo, proteggi qualsiasi puttana, combatti qualsiasi guerra, ma non sposarti e non metterti contro il capo — è troppo pericoloso […] No. La nostra unica possibilità è provare a perseguire un egoismo privato più piccolo e onesto che possiamo. Non sei d’accordo che non si può provare una partecipazione morale nei confronti dell’Umanità? È troppo grande».
      O per esprimerlo in termini più generali. Il progresso tecnologico, l’organizzazione dall’alto della vita umana (quello che Max Weber chiama «razionalizzazione»), la fede esagerata nel metodo scientifico dei due secoli passati — tutto ciò ci ha portato, letteralmente, in un vicolo cieco. La tendenza è ora chiara: guerra atomica, collettivismo burocratico il «consolidarsi del nostro proprio prodotto in un potere oggettivo che ci sovrasta, che cresce fino a sfuggire al nostro controllo, che contraddice le nostre aspettative, che annienta i nostri calcoli […]». Mi sembra assurdo tentare di lottare contro questa tendenza, come fanno i progressisti di tutti i tipi, con le stesse forze che l’hanno posta in essere. Dobbiamo dare forza alle emozioni, all’immaginazione, ai sentimenti morali, al primato dell’essere umano individuale, dobbiamo ristabilire l’equilibrio che è stato rotto dall’ipertrofia della scienza negli ultimi due secoli. La radice è l’uomo, qui e non altrove, adesso e non più tardi.

      [Politics, luglio 1946]

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