• Cuba – Libertà di critica e adulazione

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    Critica costruttiva o compiacente?

     

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    di Yoani Sánchez

     

     Alzò la mano durante la riunione. Il direttore aveva chiesto “de hablar a camisa quitada”, (di parlare a cuore aperto) così approfittò di sciogliere quel nodo che portava dentro di sé, da mesi, in silenzio. Iniziò parlando dei bassissimi salari dei lavoratori della salute pubblica. Poi parlò dei bagni luridi, della mancanza d’acqua, della rottura dell’unico sterilizzatore e delle perdite e dei gocciolamenti nelle sale dell’ospedale. Continuò parlando delle alte temperature nella sala d’aspetto dove si ammonticchiavano i pazienti, e delle carenze  di strumenti chirurgici. Condì il tutto con l’esclamazione finale: “tutto questo non si può più sopportare” che fece precipitare la stanza in un silenzio fitto, imbarazzante.

     

    Terminata la riunione qualcuno lo avvicinò per rimproverare la sua critica che non era stata costruttiva, ma semplicemente catartica. Fu così che egli non parlò più in nessuna assemblea.

     

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     Dietro l’argomento di proporre una critica opportuna e edificante, si nascondono coloro che in realtà non vogliono nessun tipo di critica. Per loro essere propositivo significa includere una reverenza e anticipare ogni impianto discorsivo con una frase adulatrice. Non deve mai – secondo questi incoraggiatori di applausi – mettere in discussione il sistema ma solo le inefficienze che non gli permettono di funzionare. Essere “costruttivi” equivale a non citare i responsabili del processo politico attuale, tanto meno mettere in dubbio il modello ideologico. È inoltre necessario mostrare una fede cieca che tutto si risolva con la “saggia guida” delle “alte istanze”.

     

     Se qualcuno esce dal canovaccio della critica  tollerata, allora  pioveranno gli squalificativi: risentito, pantofolaio, piagnone, saranno i primi insulti, ma poi giungeranno anche i già triti e ritriti : “agente della CIA”, “controrivoluzionario” o “nemico della nazione”. Le sue osservazioni non avranno mai il momento opportuno, perché non includono né la sottomissione né l’autocritica.

    La critica non ha bisogno di un  nome. Non deve essere  classificata in “costruttiva” o “distruttiva”, ma deve essere effettuata crudamente, senza freni pregiudiziali. Come la medicina che si spalma su una piaga purulenta, la critica fa male, fa piangere, tormenta … ma cura.

     

     Febbraio 2014

     

     

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    Crítica ¿constructiva o complaciente?

     

    di Yoani Sánchez

     

    Levantó la mano en la reunión. El director les había pedido “hablar a camisa quitada”, así que aprovechó para soltar lo que llevaba meses callando. Comenzó por los bajísimos salarios que padecían los trabajadores de salud pública. Después habló de los baños sucios, el desabastecimiento de agua, las roturas del único esterilizador y las goteras por todo el hospital. Siguió con el calor en la sala de espera donde se amontonan los pacientes y las carencias de instrumental quirúrgico. Remató con la exclamación de “esto no hay quien lo aguante”  que sumió a la sala en un silencio denso, incómodo.

     

    Al terminar alguien se le acercó para reprocharle que su crítica no había sido constructiva, sino simple catarsis. Así que ya no volvió a hablar en ninguna otra asamblea.

     

    Tras el argumento de buscar una crítica oportuna y edificante, se esconden quienes en realidad no quieren ningún tipo de crítica. Para ellos ser propositivos significa incluir una reverencia y anteceder cada planteamiento con una frase aduladora. Nunca se debe –según estos alentadores del aplauso- cuestionar al sistema, sino a los ineficientes que no le permiten funcionar. Ser “constructivos” equivale a no emplazar a los líderes del actual proceso político, mucho menos poner en duda el modelo ideológico. Se necesita, además, mostrar una fe ciega en que todo se va a resolver con la “sabia conducción” de las altas instancias.

     

    Si alguien se sale del guión de la crítica tolerada, entonces le lloverán los descalificativos. Resentido, chancletero, llorón… serán los primeros insultos, aunque después pueden llegar los ya manidos “agente de la CIA”, “contrarrevolucionario” o “enemigo de la nación”. Sus observaciones nunca encontrarán el momento oportuno, porque no incluyen la sumisión ni la autoinculpación.

    La crítica no necesita apellido. No debe clasificarse en “constructiva” o “destructiva”, sino que tendrá que llevarse a cabo con toda crudeza, sin miramientos. Como la medicina que se unta sobre una llaga purulenta, la crítica duele, hace llorar, atormenta… pero cura.

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