• Gramsci, Calvino, Togliatti e La gran Bonaccia delle Antille

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    di Gian Carlo Zanon


    Note a margine del dibattito sull’egemonia culturale 

    Il 16 gennaio 2014, alla libreria Feltrinelli di via Orlando, c’è stata la presentazione del libro di Mauro Canali, Il tradimento, Togliatti e la verità negata.

    S’è parlato ovviamente del tradimento di Palmiro Togliatti, della sua pochezza umana e culturale, della grandezza culturale di Antonio Gramsci tradito dal “Migliore” e dai suoi epigoni che hanno snaturato il pensiero gramsciano. Qualcuno ha parlato di cultura fascista e una persona è intervenuta affermando che lo scontro che Gramsci voleva portare avanti, per arricchire l’egemonia culturale del Partito comunista di allora, non era solo contro il capitalismo ma anche e forse soprattutto con la Chiesa cattolica. L’autore non sembrava molto d’accordo con questa affermazione. So anche però che Mauro Canali vorrebbe approfondire questo lato rimasto un po’ in ombra nel suo libro, che come è stato giustamente ricordato, è una splendida biografia del politico   che “è stato morto in carcere” dal suo compagno Palmiro …  e non è un errore grammaticale.

     In quell’occasione il professor Canali, seguendo un suo filo di pensiero, ha narrato anche dello scontro avvenuto tra Togliatti e Italo Calvino quando,  nel 1957,  lo scrittore si  dimise dal Pci; ha anche ricordato come il racconto allegorico di Calvino, La gran Bonaccia delle Antille che fu pubblicato sulla rivista Città aperta del 25 luglio 1957, fece infuriare Togliatti; ha anche accennato dell’acrimonia di Togliatti nei confronti di Calvino al quale non perdonava né l’emancipazione dal partito né la sua fantasia letteraria che svelava il gioco delle parti tra il Pci e il suo più poderoso “avversario” politico: la Democrazia cristiana.

    Uscito dalla libreria e dopo aver scambiato alcune impressioni con i miei compagni di avventure letterarie e politiche, mi sono diretto verso casa; ci ho dormito sopra e il giorno dopo il filo dei pensieri suscitati da quell’incontro iniziarono a tessere una trama indefinita che lentamente prendeva forma verbale: si trattava “solo” di renderla manifesta attraverso il linguaggio articolato.

    Oggi che mi accingo a scrivere, mi rendo conto che i fili da tirare sono molteplici e c’è il pericolo di imbrogliare la matassa. Inizio a stenderli sul telaio …  dunque: scontro con il capitalismo; cultura fascista, scontro con cultura cattolica,  egemonia culturale, pensiero Gramsciano, cultura comunista, Marxismo, Calvino, La gran bonaccia delle Antille … (da leggere in calce all’articolo) c’è qualcosa che non mi quadra … i fili sono troppi e troppo sottili … che casino.

    Calma, cominciamo con la cultura. Leggo: la cultura è un complesso di cognizioni, tradizioni, linguaggi, tipi di comportamento trasmessi e usati sistematicamente da un dato gruppo sociale, o da un popolo, o da vari popoli, o dall’intera umanità. Inoltre la cultura è composta da una gran molteplicità di dati, è trasversale, sovrapponibile, stratificata … che casino.

    Ma si può dire che esiste o che è esistita una cultura fascista? O una cultura capitalista? Si può dire che entrambe in fin dei conti non sono altro che sovrastrutture di pensiero che poggiano su fondamenta che fanno capo ad una visione dell’uomo che si contrappone al Marxismo? Io direi di sì. E qual è la visione che sta alla base della cosiddetta cultura fascista e/o capitalista? Fascismo, nazifascismo e capitalismo sono culture patriarcali … come le religioni monoteiste con cui sono andate sempre a braccetto.

    Il fascismo in Italia e il nazismo in Germania nascono sotto l’egida dei cristiani, sia cattolici che riformati, e l’economista Max Weber nel suo famoso saggio L’etica protestante e lo spirito del capitalismo riconduce all’etica della religione protestante la nascita del capitalismo.

    Detto grossolanamente: soprattutto in cosa, il pensiero di Marx – e soprattutto quello di Gramsci – si contrapponeva al capitalismo, al nazifascismo e al cristianesimo cattolico e protestante se non nella teoria sull’uguaglianza tra esseri umani?  Nazifascismo e il capitalismo vedono lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo come una normalità in cui, come diceva Heidegger, si realizza l’“autenticità dell’essere umano”.  Essere umano che, secondo queste ideologie, è per natura Caino, parricida e perverso; essere umano che nasce con il peccato originale; essere umano, come affermava Freud – che scriveva a Mussolini lodandolo come “eroe della cultura” – originariamente polimorfo perverso. D’altronde la Chiesa cattolica ha sempre trovato “brillanti escamotages” per legittimare schiavitù  e sfruttamento dell’uomo sull’uomo:  «(9)Esorta gli schiavi a esser sottomessi in tutto ai loro padroni; li accontentino e non li contraddicano, (10)non rubino, ma dimostrino fedeltà assoluta, per fare onore in tutto alla dottrina di Dio, nostro salvatore. (San Paolo di Tarso Epistola a Tito 9 e 10)» (*)

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    Anche la chiesa protestante non si è fatta mancare nulla trasformando i cattolici irlandesi in figli di un dio minore per poterli, per ben quattrocento anni, dal genocidio del puritano Oliver Cromwell in poi, opprimere, sfruttare, negando loro la stessa dignità umana dei protestanti.

    La teoria marxista … la teoria marxista prevede una possibilità di emancipazione dalla propria condizione sociale, i padri della Chiesa cattolica invece: «20 Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato. 21 Sei stato chiamato da schiavo? Non ti preoccupare; ma anche se puoi diventare libero, profitta piuttosto della tua condizione!» (Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (20-21)

    Inoltre marxismo e socialismo hanno come punto cardine l’uguaglianza tra esseri umani, e qui sta la differenza sostanziale tra marxismo e dottrina cristiana. Se l’altro viene riconosciuto come un eguale a se stessi, non si può certo sfruttare; se al contrario viene percepito come ineguale perché di diversa estrazione sociale, di diversa religione, di diversa lingua, di diverso colore, di diverso sesso, “si può sfruttare”. La storia ci dice che si può sfruttare, ci dice che il “diverso” è sempre stato sfruttato.  Queste “diversità” si pongono su una scala che va dal “figlio di un dio minore” all’essere “immondo”, (fuori dal mondo). Stringi stringi l’ebreo, la donna, il pellerossa, l’operaio, appartengono non al genere umano, di cui ci si erge a modelli, (modelli come il White Anglo-Saxon Protestant che esclude chi non è bianco, né anglo-sassone, né protestante) ma al mondo della natura che serve per la sopravvivenza della specie umana a cui i “meno umani” non appartengono o “appartengono meno”. Ricordiamo che i rappresentanti spagnoli e portoghesi della Chiesa Cattolica, nella famosa Disputa de Valladolid, 1550-1551, discussero due anni interi per stabilire se gli indiani d’America avessero l’anima, senza per altro a giungere a nessuna conclusione. Nel frattempo e per i secoli a venire, vennero  usati come animali da soma. Estensivamente anche la delocalizzazione della produzione industriale fa capo a questa percezione delirante: il “diverso” per colore e linguaggio è più lontano  dall’operaio del proprio paese, ed essendo più lontano dal “modello base” è meno riconoscibile come un uguale a se stessi e quindi si può sfruttare “più facilmente”.

     Ma torniamo in carreggiata: Gramsci vedeva quindi nella Chiesa cattolica il più subdolo nemico nello scontro per l’egemonia culturale. Ed è per questo che Palmiro Togliatti, il capitano della nave del racconto di Calvino che non attacca mai frontalmente la nave dei papisti,  intervenne con livore contro lo scrittore, durante una sessione del Comitato Centrale, settembre 1957, sputando veleno: «il letterato che ieri si rifiutava di scrivere qualcosa che significasse un suo  impegno politico a sostegno di nobili battaglie che il Partito conduceva, appena  uscito dal Partito ha scritto la novelletta per  buttar fango, agli ordini dei giornali della borghesia, sopra il Partito e i suoi dirigenti per accrescere la confusione, la sfiducia e il disfattismo».

    Italo-Calvino

    Dovrebbe essere chiaro a questo punto che la nave dei papisti de La gran Bonaccia delle Antille, non fosse solo la rappresentazione della Democrazia cristiana, ma che la battaglia per una vera egemonia culturale, a cui si sottraeva il Pci del “Migliore” , doveva essere  combattuta contro la Chiesa cattolica come più volte indicato da Gramsci.

    «Il Vaticano è un nemico in­ternazionale del proletariato rivoluzionario. È evidente che il proletariato italiano dovrà risolvere in gran parte con mezzi propri il problema del papato, ma è egualmente evidente che non vi arriverà senza il concorso efficace del proletariato internazionale. L’organizzazione ecclesiastica del Vaticano riflette il suo carattere internazionale. Essa costituisce la base del potere del papato in Italia e nel mondo.» (A, Gramsci – Articolo de La Correspandance Internationale del 12 marzo 1924,)

    «Il Pensiero può essere contrapposto alla Religione di cui la Chiesa è l’organizzazione militante. I nostri idealisti, laicisti, immanentisti ecc. hanno fatto del Pen­siero una pura astrazione, che la Chiesa ha bellamente preso sottogamba assicurandosi le leggi dello Stato e il controllo dell’educazione». Quaderno 3 (XX) – 1930: <Miscellanea> – § <140>. Cattolicismo e laicismo. Religione e scienza, ecc.. (A. Gramsci, Quaderni del carcere.)

    Al contrario Palmiro Togliatti già nel dicembre del 1945 nel rapporto al primo Congresso del Pci dopo la Liberazione, scriveva:

    «Tanto il cristianesimo quanto il comunismo hanno un contenuto universalistico, esercitano una profonda influenza e appariscono ai più acuti conoscitori dei fenomeni sociali come le forze uniche capaci di rigenerare socialmente il mondo. Ciò posto, è facile rilevare che un conflitto irriducibile fra cristianesimo e comunismo sarebbe terribile, sanguinosissimo, micidiale alla stessa civiltà. Mentre invece una reciproca tolleranza e intesa (incominciata nella ricerca di ciò che ci unisce invece che di ciò che ci divide) potrebbe dar principio ad una vigorosa rieducazione dei popoli e alla possibilità di resuscitare, almeno per un millennio, una nuova forma di vita e di civiltà, quale non fu mai forse raggiunta nel passato».

    E fu così che iniziò la “bonaccia delle Antille” che ci ha accompagnato per 70anni e di cui in questi giorni vediamo l’epilogo.

    Come si può vedere, a parte qualche isolata bottega di tessitori di verità in cui ancora si ricostruisce giorno dopo giorno con cura artigianale una cultura atea e anticlericale, che inevitabilmente si scontra con ciò che non è conciliabile con una società civile, la cultura dominate è prona alla Chiesa cattolica. Ogni alba che sorge vede pochi resistenti culturali ritessere instancabilmente la vela della libertà di pensiero ogni giorno lacerata dalle bordate dei vascelli mediatici al servizio della cultura cattolica. In questa palude culturale maleodorante, che purtroppo forgia la cultura a sua immagine e somiglianza, nessuno reagisce più neppure a messaggi nazisti  che parlano di sostanziali differenze tra un bambino battezzato e un bambino non battezzato: «Non è lo stesso, un bambino battezzato o un bambino non battezzato: non è lo stesso. Non è lo stesso una persona battezzata o una persona non battezzata.» Juan Mario Bergoglio Udienza generale dell’8 gennaio 2014.

    Ma questi sono solo pensieri scritti per tentare, come diceva il grande poeta Andrea Zanzotto, «di restaurare il vuoto che c’è nel mondo, attraverso la trama di versi, dei ritmi … ». Un trama di verità che ogni giorno e ogni notte, quasi fosse una tela di  Penelope o la Tapesserie della reine Matilde che sotto la luce fioca nel museo di Bayeux narra le gesta di Guillaume le Conquérant , va ritessuta perché non si perda il rapporto con la realtà storica senza la quale …

    Roma 23 gennaio 2014

     P.S. – 24 gennaio 2014 – Ho riletto il mio testo, è stato scritto di getto e zoppica un po’ , e penso che tutto sommato questa stesura non sia altro che un canovaccio da cui partire per inoltrarsi nella ricerca sulla cultura, sull’egemonia culturale, e sulla verità della realtà umana che non può essere lasciata nelle mani della Chiesa cattolica che per sua natura fa di ci ciò che è ciò che non è. L’egemonia culturale non si può nemmeno lasciarla nelle mani dei rinoceronti mediatici che, a proposito di realtà umana scrivono sulle pagine dei loro quotidiani che fanno opinione e quindi cultura:  «(…) l’innocenza dei bambini, il loro candore, la loro innata bontà (….) È un falso luogo comune. Il bambino è certamente innocente, ha mangiato soltanto i frutti dell´albero della vita e non ancora quelli della conoscenza. Né sa che cosa sia il peccato. Ma la bontà dei bambini non esiste. La predominante necessità d’ogni bambino è quella di conquistare il suo territorio, attirare su di sé l´attenzione di tutti, vincere tutte le gare, appropriarsi di tutto ciò che desidera. Togliendolo agli altri. Vincendo sugli altri. Sottomettendo gli altri.
    Questo è l’istinto primordiale, innato, esclusivo. E spetta a chi li educa insegnare a contenere l’istinto primordiale, a rispettare gli altri, la roba degli altri e addirittura a condividere la propria con gli altri.»
    Eugenio Scalfari – Repubblica editoriale del 23.10.05.

    Marx scriveva «il più violento domina il meno violento» indicando nella violenza non una realtà originaria umana ma un minus psichico che induce alla violenza sull’altro da sé. Scalfari invece attinge a ciò che c’è di peggio nel brodo culturale, credenza religiosa cattolica e freudismo, e ne fa un manifesto che grava sulla cultura legittimando lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo perché, secondo lui, l’essere umano già da bambino è “istintivamente” portato al dominio sul più debole. Con questi presupposti religiosi non si esce da nessuna “bonaccia delle Antille” culturale ma si rimane impantanati nelle secche di una cultura dominante che ci impedisce di entrare nell’immenso mare della conoscenza.

    (*) Leggere qui la recensione del libro La trappola,radici storiche e culturali della crisi economica di Andrea Ventura, che nel primo capitolo Alienazione economica  e alienazione religiosa, racconta molto bene il rapporto tra cristianesimo e capitalismo.

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    La gran bonaccia delle Antille

    Dovevate sentire mio zio Donald, che aveva navigato con l’ammiraglio Drake, quando attaccava a narrare una delle sue avventure.

    – Zio Donald, zio Donald! – gli gridavamo nelle orecchie, quando vedevamo il guizzo di uno sguardo affacciarsi tra le sue palpebre perennemente socchiuse, – raccontateci come andò quella volta della gran bonaccia delle Antille!

    – Eh? Ah, bonaccia, sì, sì, la gran bonaccia… – cominciava lui, con voce fioca. – Eravamo al largo delle Antille, procedevamo a passo di lumaca, sul mare liscio come l’olio con tutte le vele spiegate per acchiappare qualche raro filo di vento. Ed ecco che ci troviamo a tiro di cannone da un galeone spagnolo. Il galeone stava fermo, noi ci fermiamo pure, e lì, in mezzo alla gran bonaccia, prendiamo a fronteggiarci. Non potevamo passare noi, non potevano passare loro. Ma loro, a dire il vero, non avevano nessuna intenzione di andare avanti: erano lì apposta per non lasciar passare noi. Noialtri invece, flotta di Drake, avevamo fatto tanta strada non per altro che per non dar tregua alla flotta spagnola e togliere da quelle mani di papisti il tesoro della Grande Armada e consegnarlo in quelle di Sua Graziosa Maestà Britannica la Regina Elisabetta. Però ora, di fronte ai cannoni di quel galeone, con le nostre poche colubrine non potevamo reggere e così ci guardavamo bene dal far partire un colpo. Eh, sì, ragazzi, tali erano i rapporti di forza, voi capite. Quei dannati del galeone avevano provviste d’acqua, frutta delle Antille, rifornimenti facili dai loro porti, potevano stare lì quanto volevano: anche loro però si trattenevano dallo sparare, perché per gli ammiragli di Sua Maestà Cattolica quella guerricciuola con gli Inglesi così come stava andando era proprio quel che ci voleva, e se le cose si mettevano diversamente, per una battaglia navale vinta o persa, tutto l’equilibrio andava all’aria, certo ci sarebbero stati dei cambiamenti, e loro di cambiamenti non ne volevano. Così passavano i giorni, la bonaccia continuava, noi continuavamo a star di qua e loro di là, immobili a largo delle Antille…

    – E come andò a finire? Diteci, zio Donald! – facemmo noi, vedendo che il vecchio lupo di mare già piegava il mento sul petto e riprendeva a sonnecchiare.

    – Ah? Sì, sì, la gran bonaccia! Settimane durò. Li vedevamo coi cannocchiali, quei rammolliti di papisti, quei marinai da burla, sotto gli ombrellini con le frange, il fazzoletto tra il cranio e la parrucca per detergere il sudore, che mangiavano gelati di ananasso. E noi che eravamo i più valenti marinai di tutti gli oceani, noi che avevamo per destino di conquistare alla Cristianità tutte le terre che vivevano nell’errore, noi ce ne dovevamo star lì con le mani in mano, pescando alla lenza dalle murate, masticando tabacco. Da mesi eravamo in rotta sull’Atlantico, le nostre scorte erano ridotte all’estremo e avariate, ogni giorno lo scorbuto si portava via qualcuno, che piombava in mare in un sacco mentre il nostromo borbottava in fretta due versetti della Bibbia. Di là, sul galeone, i nemici spiavano col cannocchiale ogni sacco che sprofondava in mare, e facevano segni con le dita come affaccendati a contare le nostre perdite. Noi inveivamo contro di loro: ce ne voleva prima di darci tutti morti, noialtri che eravamo passati attraverso tanti uragani, altro che quella bonaccia delle Antille…

    – Ma una via d’ uscita come la trovaste, zio Donald?

    – Cosa dite? Via d’ uscita? Mah, ce lo domandavamo di continuo per tutti quei mesi che durò la bonaccia… Molti dei nostri, specie tra i più vecchi e i più tatuati, dicevano che noi eravamo sempre stati una nave da corsa, buona per azioni rapide, e ricordavano i tempi in cui le nostre colubrine sguarnivano delle alberature le più potenti navi spagnole, aprivano falle nelle murate, giostravano con brusche virate… Ma sì, nella marineria di corsa, certo eravamo stati bravi, ma allora c’era il vento, si andava svelto… Adesso, in quella gran bonaccia, questi discorsi di sparatorie e d’abbordaggi erano solo un modo di trastullarci aspettando chissacché; una levata di libeccio, un fortunale, addirittura un tifone… Perciò gli ordini erano che non dovessimo neanche pensarci, e il capitano ci aveva spiegato che la vera battaglia navale era quello star lì fermi guardandoci, tenendoci pronti, ristudiando i piani delle grandi battaglie navali di Sua Maestà Britannica e il regolamento del maneggio delle vele e il manuale del perfetto timoniere, e le istruzioni per l’uso delle colubrine, perché le regole della flotta dell’ammiragio Drake restavano in tutto e per tutto le regole della flotta dell’ammiragio Drake: se si cominciava a cambiarenon si sapeva dove…

    – E poi, zio Donald? Ehi zio Donald! Come riusciste a muovervi?

    – Uhm… Uhm… Cosa vi dicevo? Ah sì, guai se non si teneva la più rigida disciplina e obbedienza alle regole nautiche. Su altre navi della flotta di Drake c’erano stati cambiamenti ufficiali e anche ammutinamenti, sommosse: si voleva ormai un altro modo di andar per i mari, c’erano semplici uomini della ciurma, marinai di quarto e pure mozziche ormai s’erano fatti esperti e avevano da dir la loro sulla navigazione… Questo i più degli ufficiali e quartiermastri ritenevano il pericolo più grave, perciò guai se sentivano in aria discorsi di chi voleva ristudiare da capo il regolamento navale di Sua Maestà Elisabetta. Niente, dovevamo continuare a ripulire le spingarde, lavare il ponte, assicurarci del funzionamento delle vele, che pendevano flosce nell’aria senza vento, e nelle ore libere delle lunghe giornate lo svago ritenuto più sano erano i soliti tatuaggi sul petto e sulle braccia, che inneggiavano alla nostra flotta dominatrice dei mari. E nei discorsi si finiva per chiudere un occhio su quelli che non riponevano altra speranza che in un aiuto del cielo, come un uragano che magari ci avrebbe mandato a picco tutti, amici e nemici, piuttosto che quelli che volevano trovare un modo per muovere la nave nella condizione presente… Capitò che un gabbiere, certo Slim John, non so se il sole in testa gli avesse fatto male o che cos’altro, cominciò a trastullarsi con una caffettiera. Se il vapore solleva il coperchio della caffettiera, – diceva questo Slim John, – allora anche la nostra nave, se fosse fatta come una caffettiera potrebbe andare senza vele… Era un discorso un po’ sconnesso, bisogna dire, ma forse, studiandoci ancora sopra, se ne poteva cavare qualche costrutto. Macché: gli buttarono in mare la caffettiera e poco mancò che ci buttassero anche lui. Queste storie di caffettiere, presero a dire, erano poco meno che idee da papisti… è in Spagna che si costuma il caffè e le caffettiere, non da noi… Mah, io non ne capivo nulla, ma purché si muovessero, con quello scorbuto che continuava a falciar gente…

    – E allora, zio Donald, – esclamammo noi, gli occhi lucidi d’impazienza, prendendolo per i polsi e scuotendolo, – sappiamo che vi salvaste, che sgominaste il galeone spagnolo, ma spiegateci come avvenne, zio Donald!

    – Ah sì, anche là nel galeone, mica che fossero tutti della stessa idea, manco per sogno! Lo si vedeva, osservandoli col cannocchiale,anche lì c’erano quelli che volevano muoversi, gli uni contro di noi a cannonate, altri che avevano capito che non c’era altra via che affiancarsi a noi, perché il prevalere della flotta d’Elisabetta avrebbe fatto rifiorire i traffici da tempo languenti… Ma anche lì, gli ufficiali dell’ammiragliato spagnolo non volevano che si muovesse nulla, per carità! Su quel punto i capi della nostra nave e quelli della nave nemica, pur odiandosi a morte, andavano proprio d’accordo.
    Cosicché, la bonaccia non accennando a finire, si prese a lanciare dei messaggi, con le bandierine da una nave all’ altra come si volesse aprire un dialogo. Ma non si andava più in là d’un Buon giorno! Buona sera! Neh, che fa bel tempo! e così via.

    – Zio Donald! Zio Donald! Non riaddormentatevi, per carità! Diteci, come riuscì a muoversi la nave di Drake!

    – Ehi, ehi, non sono mica sordo! Capitemi, fu una bonaccia che nessuno s’aspettava durasse tanto, addirittura per degli anni, là al largo delle Antille, e con un’afa, un cielo pesante, basso, che pareva fosse lì lì per scoppiare in un uragano. Noi stillavamo sudore, tutti nudi, arrampicati su per le sartie, cercando un po’ d’ombra sotto le vele avvoltolate. Tutto era così immobile, che anche quelli di noi che erano più impazienti di cambiamenti e di novità, stavano immobili anche loro, uno in cima all’albero di parrocchetto, un altro sulla randa di maestra, un altro ancora cavalcioni del pennone, appollaiati lassù a sfogliare atlanti o carte nautiche…

    – E allora, zio Donald! – ci buttammo in ginocchio ai suoi piedi, lo supplicavamo a mani giunte, lo scuotevamo per le spalle, urlando – diteci come andò a finire, in nome del cielo! Non possiamo più aspettare! Continuate il vostro racconto, zio Donald!

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