• Cuba – Dottrina di stato e codici etici identitari

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    PIONEROS-CUBANOS

    Sembra incredibile, tutti i totalitarismi del passato (nazifascismo e stalinismo) e presenti (castrismo-renzismo-grillismo), fondano il proprio potere sul culto della persona e sull’annichilimento dell’identità umana individuale. Ogni totalitarismo vuole che ogni esigenza personale venga sacrificata sull’altare di un avvenire radioso: la razza eletta, il sol dell’avvenire, un milione di posti di  lavoro, la rottamazione della vecchia classe politica in capace, la fine della corruzione. Questo articolo di  Yoani Sánchez dimostra ancora una volta, come un apparato di potere che crede di poter infondere dall’alto ideologie e modi di essere, di fatto non fa altro che creare una società irresponsabile, corrotta, e dei cittadini senza alcuna identità etica. Anche noi che viviamo in Italia abbiamo visto i nostri simili adattarsi ad ogni “moda” ideologica: sessantotto comunista, yuppismo liberista, neoliberismo, berlusconismo e infine renzismo che riprende gli stilemi del culto della persona gigionando a destra e a manca senza che nessuno si avveda del suo manierismo. Leggete questo articolo e il prossimo e vedrete in modo più chiaro la storia della società di ieri e di oggi.

     

     Gian Carlo Zanon

     

     

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    Svalutazione

     

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    di Yoani Sánchez

     

     

     È difficile per una cellula mantenersi sana in un organismo malato. In una società inefficiente, una bolla di funzionalità scoppierebbe. Conseguentemente, non possono potenziarsi certi valori etici – selezionati e filtrati – in mezzo ad una débâcle di integrità morale. Riscattare codici di condotta sociale, implica accettare anche quelli che stridono con l’ideologia imperante.

     

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     Dai media ufficiali, ora veniamo richiamati al recupero del valori perduti. Secondo la versione dei commentatori televisivi, le responsabilità del deterioramento ricadono fondamentalmente sulla famiglia, una parte sulla scuola …  e nessuna sul governo. Parlano di maleducazione, volgarità, mancanza di solidarietà e incremento di cattive abitudini come il furto, la menzogna, e l’indolenza. In un paese dove per mezzo secolo il sistema educativo, tutta la stampa  e i meccanismi di produzione e di distribuzione culturale, sono stati monopolio di un unico partito, varrebbe la pena domandarsi : da dove è sorto un tale depauperamento?

     

     Ricordo che quando ero bambina nessuno aveva il coraggio di rivolgersi ad una persona con l’aggettivo qualificativo di  “señor”, perché ciò era considerato un cascame borghese. Dato che il vocativo “compañero” si associava ad una posizione ideologica, in molti cominciammo allora ad utilizzare nuove forme di linguaggio: . “primo” (cugino), “joven” (giovane), “oye tú” (senti tu), “puro” … e una lunga lista di frasi che diventarono formule volgari. Adesso alla Tv si lamentano del fatto che ci rivolgiamo agli altri in modo volgare, però … . chi ha iniziato questo deterioramento?

     

    Young Cubans Re-enact Fidel Castro's Victory Caravan

     

    Il sistema cubano scommise sull’ingegneria sociale, e giocò con l’alchimia individuale e collettiva. L’esempio più eclatante di questo fallito laboratorio fu il cosiddetto “hombre nuevo”. Questo Homus Cubanis sarebbe cresciuto, si supponeva, nel sacrificio, nell’obbedienza e nella fedeltà. L’uniformità era incompatibile con le particolarità etiche di ogni famiglia. E per raggiungere questi obiettivi, milioni di cubani – quando poterono farlo – furono allontanati dall’ambiente famigliare.

     

    Andavamo al circolo infantile dopo solo 45 giorni dalla nascita, gli accampamenti dei “pionieri” ci ricevevano subito dopo aver appreso le prime lettere dell’alfabeto, abbiamo iniziato ad andare alle scuole campestri non appena terminata l’infanzia e passavamo la nostra adolescenza in un preuniversitario situato in mezzo al nulla. Lo Stato credeva di poter sostituire il ruolo formatore dei nostri genitori, pensò sarebbe riuscito a modificare i valori che portavamo con noi dalla famiglia in un nuovo codice di morale comunista. Però la creatura che uscì da questo esperimento fu molto distante da ciò che fu pianificato. Né certamente giungemmo a convertirci in un “hombre bueno”.

     

    Adottarono gli stessi sistemi anche contro la religione, senza tener minimamente conto che nelle sue dissimili credenze si trasmettono parte dei valori etici che modellarono la civilizzazione umana e i nostri stessi costumi nazionali.  Ci fecero denigrare ciò che era diverso, insultare con oscenità i presidenti di altri paesi, deridere le figure storiche del passato, fare boccacce o strombazzare al passaggio di una ambasciata forestiera. Ci inculcarono la “promiscuità rivoluzionaria” – da loro praticata al tempo della Sierra Maestra – e ci incitarono a deridere chi parlava in modo corretto, aveva un’ampia cultura o mostrava  di possedere un’educazione raffinata.

     

    Tutto questo ci fu insegnato con tanta intensità che in molti fingevamo di parlare in modo volgare, non pronunciavamo scientemente alcune sillabe o non parlavamo delle nostre letture, in modo che nessuno si potesse rendere conto che eravamo “unos bichos raros” (modo di dire che significa “delle persone strane”) o potenzialmente dei “controrivoluzionari”.

     

    Un uomo – da un pulpito – è rimasto a gridarci in faccia tutto questo per  cinquant’anni. Le sue contese, il suo odio, la sua incapacità di ascoltare in modo pacato un argomento contrario, divennero i paradigmi comportamentali che apprendemmo nella scuola.

     

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    Egli ci instillò il gergo, il raggrinzimento e la forma autoritaria del dito indice puntato sugli altri. Lui – che credeva di saper tutto quando in realtà sapeva ben poco – ci trasmise la superbia, il non chiedere mai scusa e la menzogna, questo inganno de los pícaros (dei furnastri-canaglie) e dei frodatori che ci insegnava tanto bene.

     

    Adesso, quando la situazione etica della nazione sembra uno specchio frantumato sul pavimento, chiamano le famiglie a ripararlo. Ci chiedono di creare valori morali in famiglia e di trasmettere ordine e disciplina al nostri figli. Ma, come farlo? Se noi fummo modellati nella negazione di questi codici civili. Come farlo, se non è mai esistito neppure un processo di autocritica da parte del potere con la quale, quelli che giocarono all’ingegneria sociale con le nostre vite, possano riconoscere che lo fecero?

     

    I codici etici non si ricompongono tanto facilmente. Una moralità svalutata dai discorsi di stato, non può ricomporsi dalla sera alla mattina. E adesso, come facciamo ad aggiustare questo disastro?

    7 marzo 2014

     

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    Devaluación

    di Yoani Sánchez

     

    Para una célula es difícil mantenerse sana en un organismo enfermo. En una sociedad ineficiente, una burbuja de funcionalidad estallaría. Así mismo, no pueden potenciarse ciertos valores éticos –seleccionados y filtrados- en medio de una debacle de integridad moral. Rescatar códigos de conducta social, implica aceptar también aquellos que desentonen con la ideología imperante.

     

    Desde los medios oficiales, nos llaman ahora a recuperar los valores perdidos. Según la versión de comentaristas televisivos, la responsabilidad del deterioro recae fundamentalmente sobre la familia, una parte en la escuela… y ninguna sobre el gobierno. Hablan de mala educación, groserías, falta de solidaridad y extensión de malos hábitos como el robo, la mentira y la indolencia. En un país donde por medio siglo el sistema educativo, toda la prensa y los mecanismos de producción y distribución cultural, han sido monopolios de un único partido, vale la pena preguntarse ¿de dónde ha surgido tal depauperación?

     

    Recuerdo que cuando niña nadie se atrevía a dirigirse a otro con el calificativo de “señor”, porque resultaba un rezago burgués. Como el vocativo “compañero” se asociaba a una posición ideológica, muchos comenzamos a llamarnos entonces con nuevas formas. “primo”, “joven”, “oye tú”, “puro”… y una larga lista de frases que derivaron en fórmulas vulgares. Ahora se quejan en la TV de que somos soeces a la hora de dirigirnos a otros, pero… ¿quién empezó ese deterioro?

     

    El sistema cubano apostó por la ingeniería social, y jugueteó con la alquimia individual y colectiva. El ejemplo más acabado de ese fallido laboratorio fue el llamado “hombre nuevo”. Ese Homus Cubanis crecería supuestamente en el sacrificio, la obediencia y la fidelidad. La uniformidad era incompatible con las particularidades éticas de cada hogar. Así que para lograrla, a millones de cubanos nos alejaron –siempre que pudieron- del entorno familiar.

     

    Íbamos al círculo infantil con apenas 45 días de nacidos, los campamentos pioneriles nos recibían después de aprender las primeras letras, partíamos hacia las escuelas al campo recién terminada la infancia y pasábamos nuestra adolescencia en un preuniversitario en medio de la nada. El Estado creía que podía sustituir el papel formador de nuestros padres, pensó que lograría cambiar los valores que traíamos de casa por un nuevo código de moral comunista. Pero la criatura resultante distó mucho de lo planificado. Ni siquiera llegamos a convertirnos en un “hombre bueno”.

     

    La emprendieron también contra la religión, pasando por alto que en sus disímiles credos se transmiten parte de los valores éticos y morales que moldearon la civilización humana y nuestras propias costumbres nacionales. Nos hicieron denigrar a los diferentes, insultar con obscenidades a los presidentes de otros países, burlarnos de figuras históricas del pasado, sacar la lengua o lanzar la trompetilla al pasar por una embajada foránea. Nos inculcaron la “promiscuidad revolucionaria” que ellos mismos ya practicaban desde la Sierra Maestra y nos incitaron a reírnos de quienes hablaban bien, tenían una amplia cultura o mostraban algún tipo de refinamiento. Esto último nos fue enseñado con tanta intensidad, que muchos fingíamos hablar vulgarmente, dejar de pronunciar algunas sílabas o nos callábamos nuestras lecturas, para que nadie se diera cuenta que éramos “unos bichos raros” o potencialmente unos “contrarrevolucionarios”.

     

    Un hombre –desde la tribuna- nos estuvo gritando por cincuenta años. Sus diatribas, su odio, su incapacidad para escuchar calmadamente un argumento en contra, fueron las “modélicas” posturas que aprendimos en la escuela. Él, nos infundió la algarabía, la crispación constante y el dedo índice autoritario para dirigirnos a los otros. Él –que creía saber de todo cuando en realidad sabía de muy poco- nos transmitió la soberbia, el no pedir disculpas y la mentira, ese engaño de los pícaros y los timadores que se le daba tan bien.

     

    Ahora, cuando el cuadro ético de la nación parece un espejo hecho trizas contra el suelo, llaman a la familia a repararlo. Nos piden que formemos valores en casa y que transmitamos orden y disciplina a nuestros hijos. Pero ¿cómo hacerlo? Si nosotros mismos fuimos moldeados en el irrespeto a todos esos códigos. ¿Cómo hacerlo? Si ni siquiera ha existido un proceso de autocrítica desde el poder, donde aquellos que jugaron a la ingeniería social con nuestra vidas reconozcan lo que hicieron.

    Los códigos éticos no se recomponen tan fácilmente. Una moralidad devaluada por el discurso público, no puede reponerse de la noche a la mañana. Y ahora ¿cómo vamos a arreglar todo este desastre?

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