• 1416 – I bagni pubblici di Baden descritti da Poggio Bracciolini in una lettera a Niccolò Niccoli

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    “A chiunque è permesso andare e fermarsi nei bagni altrui, per far visita, conversare, divertirsi, svagarsi, mentre le donne si fanno vedere a entrare e uscir dall’acqua col corpo quasi completamente nudo.”

     

    Poggio saluta il suo Niccolò.


    Spero che tu stia bene; io sto bene. Per mezzo di un mio compagno ti mandai da Costanza, mi pare il 23 di febbraio, una lettera che, se ti e arrivata, ti ha fatto certo ridere. Era infatti lunghetta e piena di scherzi salaci; parlavo molto dei miei studi ebraici a cui attendevo, e mi burlavo del mio maestro,
    uomo superficiale, stupido e incostante, come sono quelli che dall’ebraismo si convertono al cristianesimo; mi divertivo a scherzare sulla sua cultura scarsa, sommaria e primitiva. Ma credo che quella lettera, e un’altra indirizzata a Leonardo, non siano giunte a destinazione.
    Perché certamente, buon corrispondente come sei, mi avresti risposto, non foss’altro per congratularti meco di questi miei nuovi studi che tanto spesso mi hai consigliato, e che se mi sembrano privi di utilità dal punto di vista filosofico, portano invece un contributo alla mia cultura letteraria, specialmente perché mi pongono in grado di conoscere il metodo di Gerolamo nella traduzione delle Scritture.

    Io ti scrivo ora dai bagni, dove mi son recato per curare un’infermità alle articolazioni delle mani, ritenendo che valga la pena di descriverti la posizione e la bellezza dei luoghi, i costumi degli abitanti, le abitudini dei bagnanti.
    Dagli scrittori classici si parla molto dei bagni di Pozzuoli, dove il popolo romano affluiva quasi al completo per divertirsi; ma non credo che raggiungessero l’atmosfera gaia di questi, né che a questi fossero paragonabili. I diletti di Pozzuoli derivavano più dalla bellezza dei luoghi e dal lusso delle ville, che non dall’allegria delle persone e dalle consuetudini di vita. Questi luoghi invece non offrono risorse naturali, o per lo meno ne offrono poche, mentre tutto il resto è motivo di divertimento, tanto da far credere molto spesso che Venere da Cipro e ogni altra delizia da ogni altro luogo si siano trasferite qui; e a tal segno vi si osservano i loro precetti, a tal segno vi si praticano i loro costumi e la loro sensualità, che i frequentatori di Baden, senza aver letto il discorso di Eliogabalo, sembrano sufficientemente addottrinati in proposito dalla natura stessa.

    Ma giacché voglio descriverti questi bagni non tralascerò di dirti della strada che porta qua da Costanza, perché tu possa renderti conto della parte della Gallia in cui mi trovo. Il primo giorno con un battello percorremmo il Reno per ventiquattro miglia fino a Sciaffusa; in seguito, a causa della grande cascata del fiume, attraverso monti scoscesi e rupi impervie, dovemmo proseguire il viaggio a piedi per dieci miglia, finché non giungemmo a un castello detto Kaiserstuhl; cioè, nella loro lingua, sede di Cesare.

     

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    A giudicare dal nome e dalla posizione favorevole (è infatti su un’altura sovrastante un fiume che attraverso un ponticino congiunge la Gallia alla Germania) credo che la località fosse in origine un campo romano. In questo tratto del viaggio vedemmo la cascata del Reno dall’alto del monte, rotta da scogli, fremente e sonante, sì da far credere che il fiume stesso lamentasse dolorosamente la propria caduta. Mi tornò in mente ciò che dicono della cascata del Nilo, così impetuosa, e non mi meraviglio che si ritenga siano sordi per lo straordinario rumore gli abitanti delle località circonvicine. Il rumore di questo fiume, che al paragone del Nilo è un torrente, si può infatti sentire a quasi mezzo miglio.

    Si trova poi la città di Baden, che in tedesco vuol dire bagno, abbastanza prospera, situata in una valle circondata di monti, su un grosso fiume di rapidissima corrente che a sei miglia dalla città si getta nel Reno. A circa mezzo miglio da Baden è la bellissima città balneare, costruita sul fiume. Nel mezzo v’è un’area molto vasta e intorno magnifici alberghi capaci di ospitare gran numero di persone. Le singole case hanno all’interno bagni privati, dove si tuffano solo quelli che vi alloggiano. I bagni pubblici e privati sono circa in numero di trenta; ci sono tuttavia ai due lati della piazza due bagni pubblici scoperti per il basso popolo, e ci vanno a lavarsi uomini e donne, ragazzi e ragazze, e in genere tutti gli elementi più volgari. Qui un basso steccato, messo su alla buona, divide gli uomini dalle donne. È ridicolo vedere le vecchiette decrepite e al tempo stesso le ragazzine entrar in acqua nude, davanti agli uomini, mostrando ogni parte del corpo; più di una volta ho riso perché questo eccezionale spettacolo mi faceva pensare ai ludi floreali, e dentro di me ammiravo la semplicità di questa gente, che non bada a queste cose e non vi porta nulla di equivoco o di malizioso.

    I bagni delle case private poi sono pulitissimi, e anch’essi comuni a uomini e donne; una divisione separa queste ultime, ma con molte basse finestrine attraverso le quali possono bere insieme, parlarsi, vedersi e darsi la mano, come è loro uso frequente. In alto questi bagni sono recinti da una ringhiera in cui gli uomini sostano a osservare e a parlare. A chiunque è permesso andare e fermarsi nei bagni altrui, per far visita, conversare, divertirsi, svagarsi, mentre le donne si fanno vedere a entrare e uscir dall’acqua col corpo quasi completamente nudo. Tuttavia non ci sono né custodi, né porte, né sospetti di male; in molti luoghi l’ingresso al bagno è comune per uomini e donne, sì che spessissimo accade a un uomo di imbattersi in una donna seminuda e a una donna in un uomo nudo.

    I maschi si servono solo di un cinto, le donne portano delle corte vesti di tela fino alle gambe, aperte ai lati in modo da non coprire né il collo, né il petto, né le braccia, né le spalle.

    Spesso nell’acqua mangiano a comuni spese, su una mensa galleggiante a cui son soliti partecipare gli uomini. Anche noi, nella casa dove ci bagnavamo, fummo sollecitati a prender parte a questa consuetudine; ed io pagai la mia parte, ma, benché molto pregato, non volli mettermi a tavola; non per un senso di pudore, che vien giudicato indizio di pigrizia e selvatichezza, ma per l’ignoranza della lingua. Mi sembrava sciocco che un italiano, non sapendo parlare la loro lingua, se ne stesse in acqua come un muto con le donne a passar tutto il giorno tra una bevuta e l’altra. Tuttavia due di noi entrarono nel bagno; molto allegramente stettero insieme, e insieme bevvero e mangiarono, parlarono anche, servendosi di interpreti, e molte volte facevano vento col ventaglio alle loro compagne. Non resta che ricordare l’immagine di Giove, di come Danae per la pioggia d’oro … con tutto il resto. Però, quando entrarono nel bagno delle donne, erano vestiti di un costume di tela come usa per gli uomini.

    Io dalla ringhiera osservavo tutto, badando agli usi, ai costumi, alla piacevole maniera di vivere dovuta alla libertà estrema delle abitudini. É meraviglioso vedere con quale semplicità vivano, con che fiducia. Vedevano le loro mogli trattare con stranieri, e non se la pigliavano, non ci facevano caso, prendendo tutto in buona parte. Non c’è niente di tanto scabroso che nei loro costumi non diventi semplice. Avrebbero potuto vivere senz’altro nella repubblica di Platone, mettendo tutto in comune, giacché anche senza conoscerne la dottrina erano così pronti ad accettare i principii di quella scuola.

    In alcuni bagni i maschi stanno con le donne legate a loro da vincoli di sangue o di amicizia; ogni giorno entrano nei bagni tre o quattro volte, passandovi la maggior parte del tempo in canti, in simposi, in danze. Infatti suonano accoccolandosi un poco nell’acqua, ed è molto bello vedere ragazze già in età di prender marito, splendide e cortesi, in vista, in abito e aspetto di dee.
    Suonando esse rialzano un poco la parte posteriore della veste lasciandola ondeggiare sull’acqua, si che le crederesti Veneri alate.

     

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    É costume delle donne, quando gli uomini le osservano dall’alto, chieder loro per scherzo l’elemosina. Così vengon gettate delle monetine e specialmente alle più belle; in parte esse le colgono a volo con le mani, in parte stendendo le vesti, spingendosi l’un l’altra; e in questo gioco si scoprono anche le più riposte parti del corpo. Si gettano anche corone di fiori variopinti, di cui si ornano la testa mentre si bagnano.

    Attratto da tanta festevole gaiezza di vita, siccome mi bagnavo solo due volte al giorno, passavo il resto del mio tempo visitando i bagni altrui, gettando spesso monete e corone come facevano gli altri. Né mi rimaneva tempo per leggere o coltivarmi fra tante sinfonie, flauti, cetre e canti che da ogni parte risuonavano; sì che il solo desiderio di comportarsi da savi era il colmo della follia; specialmente per uno come me che, non avendo nulla di comune con quel Menedemo tormentatore di se stesso, essendo uomo non reputo estraneo a me niente di umano.

    Perché il mio piacere fosse perfetto mancava la conversazione, che è la cosa più importante. Non mi restava dunque di meglio che soddisfare la vista, andar dietro per svago alle mie compagne, accompagnarle e riaccompagnarle; potevo anche corteggiarle e con tanta libertà da non temere di passare i limiti permessi.
    Oltre a tutti questi svaghi c’è un’altra non piccola attrazione; dietro la villa, accanto al fiume, c’è un gran prato protetto da molti alberi; là convengono tutti dopo cena e vi si fanno giuochi diversi. C’è chi si diverte a ballare, alcuni cantano; moltissimi giocano a palla, ma non secondo il nostro sistema; uomini e donne si lanciano a vicenda una palla piena di sonaglini, gettandola alla persona che preferiscono; allora si corre da ogni parte per afferrare la palla; chi la prende è il vincitore; questi, a sua volta, la getta a chi preferisce e, mentre molti la reclamano tendendo le mani, fa finta di buttarla ora a questo ora a quella.

    Si fanno pure molti altri giochi di cui sarebbe lungo parlare; ho raccontato questo per farti capire in breve come fiorisca qui la scuola di Epicuro, e credo sia questo il luogo dove fu creato il primo uomo e che gli Ebrei chiamano Ganeden, cioè giardino del piacere. Che se il piacere può render felice la vita, non vedo che cosa manchi a questo luogo per una felicità perfetta e sotto ogni rispetto
    compiuta.
    Se poi vuoi conoscere qual sia la virtù di queste acque, essa è varia e molteplice, ma in una cosa è mirabile e veramente divina: in nessun luogo del mondo ci son bagni più propizi alla fecondità delle donne. Così, molte che vengono ai bagni per guarire della sterilità, ne sperimentano la mirabile efficacia; infatti osservano scrupolosamente le prescrizioni con le quali si curano quelle che non possono concepire.

    Ma merita fra l’altro far menzione del fatto che una smisurata moltitudine di persone d’ogni condizione viene qui da distanze di duecento miglia, non tanto per la salute quanto per il piacere; tutti gli amanti, tutti i vagheggini, tutti coloro che ripongono nei piaceri lo scopo della vita, si danno convegno qui per godere degli agognati beni; fingono molte malattie del corpo mentre soffrono per le passioni dell’animo. Così vedrai innumerevoli belle senza mariti o congiunti, con due cameriere e un servo, e al massimo una lontana parente, qualche vecchietta che è più facile ingannare che saziare. Alcune secondo le loro possibilità vengono ornate di vesti lussuose, d’oro, d’argento, di gemme, tanto da far credere che vadano a nozze sontuosissime e non ai bagni. Qui sono anche vergini vestali o, per meglio dire, floreali; qui abati, monaci, frati, sacerdoti, vivono con una licenza superiore al consueto, prendendo a volte il bagno con donne ed ornandosi il capo di ghirlande, senza fare il minimo conto della propria condizione di religiosi. Tutti hanno in mente una cosa sola: di sfuggire la tristezza, di cercar l’allegria, di non preoccuparsi di niente se non di viver lieti e di godersi i piaceri. Qui non si tratta di dividere i beni comuni, ma di mettere in comune le cose divise.

    Strano a dirsi, in tanta moltitudine – ci son circa mille persone -, in tanta varietà di costumi, in una folla così eccitata, non nascono mai bisticci, tumulti, dissidi, mormorazioni, maldicenze. I mariti vedon le mogli corteggiate, le vedon conversare con i forestieri, e a volte da solo a sola; non se la prendono, non si meravigliano, pensano che tutto questo si faccia con innocente amicizia. La taccia di geloso, che qualche volta ha colpito da noi quasi tutti i mariti, qui non ha ragion d’essere; del tutto sconosciuta è la stessa parola; ignorando la passione non hanno un termine per indicarla. E c’è da meravigliarsi che manchi il nome di una cosa, là dove manca la cosa stessa? Né mai fra costoro si è trovato ancora alcuno che fosse geloso. O costumi diversi dai nostri, che sempre volgiamo tutto al peggio, che ci dilettiamo di calunnie e maldicenze fino al punto di trasformare subito in una piena testimonianza di colpa la prima ombra di sospetto!

    Molto spesso invidio questa pace e detesto la perversità dell’animo nostro, per cui sempre siamo volti al guadagno, agli appetiti; per cui mettiamo a soqquadro cielo, terra e mare per trarne danaro, mai contenti dei nostri utili, del nostro lucro. Nel timore di guai futuri ci mettiamo continuamente nei guai e negli affanni, e per non essere un giorno miseri non smettiamo mai di esserlo; sempre assetati di ricchezze, mai ci preoccupiamo del corpo, mai dell’anima. Costoro invece, contenti di poco, vivono alla giornata; tutti i giorni per loro sono festivi; non desiderando ricchezze che non verranno mai, godono secondo i loro mezzi, non temono il futuro; e se capita qualcosa di male, la prendono di buon animo.
    Così sono ricchi secondo la massima che ognuno ha vissuto nella misura in cui ha goduto. Ma lasciamo andare! Non mi propongo né di lodar loro, né di biasimare noi. Voglio che tutta la lettera sia piena di cose allegre, perché anche tu, da lontano, partecipi un poco, attraverso questa mia, a quel piacere che ho goduto ai bagni.


    Addio, mio carissimo Niccolò, e leggi queste pagine a Leonardo
    (fra gli amici tutto è comune).

    Saluta da parte mia Nicola e Lorenzo dei Medici, e porgi il mio ossequio a Cosimo.

    Dai bagni di Baden, 18 maggio1416

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