• Gioconda Belli: “La donna abitata” incipit

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    Ringraziamo Rosa Rivelli per averci donato l’incipit de La donna abitata

    All’albeggiare emersi. É strano tutto ciò che è accaduto dal giorno in cui mi trovai nell’acqua, l’ultima volta che vidi Yarince. Gli anziani dicevano nel corso della cerimonia che avrei viaggiato verso il Tlalocan, i tiepidi giardini d’oriente-paese del verde e dei fiori accarezzati dalla pioggia tenue- e invece mi sono ritrovata sola per secoli in una dimora di terra e radici, a osservare stupita il disfacimento del mio corpo nell’humus e nella vegetazione. Tanto tempo ad alimentare la memoria vivendo nel ricordo delle maracas, del frastuono dei cavalli, delle sommosse, delle lance, dell’angoscia per la sconfitta, di Yarince e delle forti nervature della sua schiena. Erano giorni che udivo i piccoli passi della pioggia, le grandi correnti sotterranee che si avvicinavano alla mia dimora centenaria, si aprivano varchi, e mi attiravano dall’umida porosità del suolo. Sentivo che il mondo era vicino, me ne accorgevo dal colore diverso della terra. …..Vidi le radici. La mani tese che mi chiamavano.

    E la forza di quell’ordine mi attirò irresistibilmente. Penetrai nell’albero e lo percorsi come una lunga carezza di linfa e di vita, un dischiudersi di petali, un tremito di foglie. Sentii il ruvido involucro, la delicata architettura dei rami, e mi allungai nei meandri vegetali di questa nuova pelle, mi stiracchiai dopo tanto tempo, sciolsi le mie chiome, e mi affacciai verso il cielo azzurro attraversato da nuvole bianche per ascoltare gli uccelli che continuavano a cantare come prima. …..Cantai anch’io (avrei voluto danzare) e sopra il mio tronco apparvero zagare e, in tutti i miei rami, profumo di arance. Mi chiedo se finalmente ho raggiunto le terre tropicali, il giardino dell’abbondanza e del riposo, la gioia pacata e inesauribile riservata a coloro che muoiono sotto il segno di Quiote-Tlaloc, signore delle acque…Perché non è tempo di fioriture, è tempo di frutti. Ma l’albero ha assunto il mio calendario, la mia vita; il ciclo di altri crepuscoli. E’ tornato a nascere, abitato da sangue di donna. …..Nessuno ha sofferto questa nascita, come accadde quando sporsi la testa tra le gambe di mia madre. Questa volta non ci sono state incertezze, né lacerazioni nella gioia. La levatrice non ha sepolto il mio xicmetayolt, il mio ombelico, nell’angolo oscuro della casa; né mi ha presa tra le braccia per dirmi: “Starai dentro la casa come il cuore sta dentro il corpo… sarai la cenere che copre la brace del focolare”. Nessuno ha pianto nel darmi il nome, come dovette fare mia madre, perché dalla lontana comparsa dei biondi, degli uomini con peli sulla faccia, tutti i presagi erano tristi e temevano di chiamare l’indovino perchè mi desse un nome, mi desse il segno. Avevano paura di conoscere la mia sorte. Poveri genitori! La levatrice mi lavò, mi purificò invocando Chalchiuhtlicue, madre e sorella degli dei, e in quella stessa cerimonia mi chiamarono Itzà, goccia di rugiada. Mi diedero il nome di adulta, senza aspettare che arrivasse per me il tempo di sceglierlo, perché temevano il futuro. ….

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    Ora, invece, tutto sembra tranquillo intorno a me: ci sono arbusti potati da poco, fiori in grandi fioriere e un vento fresco che si muove, mi dondola da una parte all’altra come se mi salutasse, mi desse il benvenuto alla luce dopo tanta oscurità.. È strano quello che mi circonda: muri, costruzioni dalle ampie pareti come quelle che ci facevano innalzare gli spagnoli. …..Ho visto una donna che ha cura del giardino. É giovane, alta, con capelli scuri, bella. I suoi lineamenti sono simili a quelli delle donne degli invasori, ma ha la stessa andatura delle donne della tribù, si muove con determinazione, come ci muovevamo e camminavamo noi prima dei tempi brutti. Mi chiedo se lavorerà per gli spagnoli. Non credo che lavori la terra né che sappia filare. Ha mani delicate e occhi grandi, brillanti. Brillano con lo stupore di chi ancora continua a scoprire. Tutto è rimasto in silenzio quando se ne è andata; non ho udito suoni provenire dal tempio, movimenti di sacerdoti. Soltanto la donna abita questa dimora e il suo giardino. Non ha famiglia né marito, e non è una dea perché ha paura: ha chiuso porte e chiavistelli prima di andare via. …..Il giorno in cui fiorì l’arancio, Lavinia si alzò presto per andare a lavorare per la prima volta nella sua vita…

    Titolo: La donna abitata
    Autore: Gioconda Belli
    Editore: Edizioni E/O
    Pagine: 407
    Prezzo: € 9,00

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