• Paris-Texas – Sam Shepard : dialogo tra Travis e Jane

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    Sam Shepard e Wim Wenders scrissero solamente la prima metà della sceneggiatura convinti che l’ispirazione per la prosecuzione della storia sarebbe venuta sul set a riprese inoltrate. A causa di continui rinvii per la difficoltà nel reperire i fondi necessari per la produzione Sam Shepard si ritrovò impegnato a lavorare a un altro film quando Paris, Texas raggiunse il punto in cui la sceneggiatura finiva. Wim Wenders fu aiutato da Kit Carson, che era sempre presente sul set essendo il padre di Hunter Carson, per alcune scene. In seguito Wenders spedì ciò che aveva scritto a Sam Shepard che a sua volta dettò per telefono al regista i dialoghi tra Harry Dean Stanton (Travis) e Nastassja Kinski (Jane) delle due scene madri del film che si svolgono all’interno della cabina del peep-show.


    Jane: Ciao.
    Travis: Ciao. Posso dirti qualcosa?
    Jane: Certo, qualunque cosa.
    Travis: Sarà una storia lunga.
    Jane: Ho tutto il tempo.
    Travis: (gira la sedia e le dà le spalle) Conoscevo due persone.
    Jane: Che persone?
    Travis: Gente comune… Ma si amavano molto. Lei era ancora molto giovane, non più di diciassette o diciotto anni. E lui era… assai più vecchio, tanto rozzo, selvatico e intrattabile quanto lei era dolce. Mi spiego?
    Jane: Sì.
    Travis: I due uniti vivevano come se tutto fosse una bella avventura. Una gioia continua. Anche andare insieme dal droghiere o dal fornaio era fantastico. Qualunque sciocchezza li faceva ridere. Risate spensierate. Non si preoccupavano mai di nulla perché volevano soltanto stare l’uno con l’altra. Senza separarsi mai.
    Jane: Dovevano essere molto felici.
    Travis: Sì, lo erano. Erano molto felici. Così… così come nessuno mai… ha pensato di poter essere. E lui non sopportava di separarsi da lei neanche quando doveva andare a lavorare. Perciò smise, per stare sempre con lei a casa. Si sarebbe trovato un altro lavoro quando… quando fossero finiti i quattrini, ma ben presto lei divenne nervosa. Jane: Perché nervosa?
    Travis: Immagino proprio per i quattrini. Per l’incertezza del futuro economico.
    Jane: Già, so cosa significa.
    Travis: E così anche lui cominciò a star male dentro.
    Jane: Male come?
    Travis: Be’, riprese a lavorare per mantenerla ma starle lontano era una sofferenza continua. (Pausa) Gli sembrava d’impazzire, a starle lontano. Finché un giorno gli scattò qualcosa nel cervello. Gli vennero in testa mille dubbi sul conto di lei.
    Jane: Quali dubbi?
    Travis: Si era convinto che lei andava con questo e con quello, che approfittava della sua assenza per passare le giornate con altri. Ogni sera era una scenata nel camper.
    Jane: (Turbata) Nel camper…
    Travis: Sì, vivevano in un camper.
    Jane: Scusa, ma tu sei stato già qui da me l’altro giorno? Forse sono indiscreta.
    Travis: No.
    Jane: Ho creduto di riconoscere la tua voce.
    Travis: No, non è possibile.
    Jane: Mmm, bèè continua.
    Travis: Comunque, lui si dette a bere pesante, e a tornare tardi per metterla alla prova.
    Jane: Metterla alla prova in che senso?
    Travis: Per vedere se si ingelosiva. Lui avrebbe voluto ingelosirla, ma lei niente. Appena preoccupata, e questo lo imbestialiva.
    Jane: Perché?
    Travis: Perché… se lei non dava segni di gelosia voleva dire che non lo amava. Gelosia, sarebbe stato un segno d’amore. E poi una notte, una notte lei disse che aspettava un bambino. Era incinta di tre o quattro mesi ormai e gliel’aveva detto. Allora tutto fu diverso… Lui smise di bere e di far tardi la notte. Era convinto di essere amato ora perché lei gli dava un figlio. Avrebbe fatto tutto il possibile per mettere su una vera casa. Ma le cose andarono altrimenti.
    Jane: Come?

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    Travis: Lui non se ne accorse subito ma lei prese a cambiare. Il giorno in cui nacque il bambino divenne irascibile. Si arrabbiava per qualunque sciocchezza. Perfino il bambino le sembrava una cosa ingiusta. Lui continuava cercare di farla felice. Le faceva regali, la portava ogni tanto a cena fuori…
    Ma niente sembrava soddisfarla.


    Per due anni s’illuse di ritrovare con lei l’affiatamento dei primi tempi. Ma, alla fine, capì che mai più ci sarebbe riuscito. E così si riattaccò alla bottiglia, ma stavolta fu peggio. Stavolta, quando lui tornava a casa tardi, non la trovava preoccupata e nemmeno ingelosita… ma solo in collera. Lo accusava di averle fatto fare il bambino per tenerla prigioniera.
    Non ne poteva più di quella prigione. Sognava solamente una cosa: scappare. Nel sogno lei si vedeva correre nuda per la strada, e poi attraverso i campi, sull’argine di un fiume, sempre correndo. E sempre, proprio al momento di farcela, appariva lui. La riacciuffava ruvidamente… e la riportava con sé nel buio.
    E quando lei gli raccontò questi sogni, lui ci credette. Capì che doveva fermarla o l’avrebbe persa per sempre. Così le legò un campanaccio alla caviglia per sentirla la notte se scivolava fuori del letto. Ma lei prese ad assordare il campanaccio cacciandoci dentro una calza e a scivolare via, piano piano, fuori del camper.

    Una notte la calza cadde e il suono del campanello lo svegliò all’improvviso. La riacciuffò, la riportò indietro e la legò ai fornelli con una cinghia. Poi la lasciò lì e si rimise a letto non curandosi delle sue grida. Strillava forte anche il bambino ma lui con sorpresa si accorse che non gli importava più nulla di nulla. Voleva soltanto… dormire.

    E per la prima volta desiderò di essere via, lontano, disperso in una remota regione dove nessuno l’avesse mai conosciuto. In un luogo senza lingua, né strade. E vide questo posto in sogno, senza saperne il nome. E quando si svegliò c’era un gran fuoco. C’erano fiamme blu che già lambivano il letto. Lui corse in mezzo a quel fuoco cercando le due persone che amava. Ma se n’erano andate. Le sue mani bruciavano, si buttò fuori del camper, si rotolò sull’erba umida.
    Poi corse e non si voltò indietro mai. Corse soltanto. Corse fino a quando fu l’alba. E non poté correre più. E quando il sole tramontò, corse ancora. (…)

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